Sara, primo compleanno finalmente a casa

LA STORIA. La piccola ha compiuto 2 anni il giorno di Natale. Nata con una grave malformazione, all’ospedale «Papa Giovanni XXIII» per curarsi, la mamma: «Per me il reparto una seconda famiglia».

«Se una persona non rinasce – scrive Kahil Gibran – la sua vita resterà come un foglio bianco nel libro dell’esistenza». Ci sono invece molte parole, intrecciate a sorrisi e lacrime di commozione, nel cuore di Jasmina Smailji, 27 anni, che in questi giorni si è finalmente riunita alla sua famiglia, a Castelfranco Veneto, con sua figlia Sara. Dopo quindici mesi tra corridoi silenziosi, allarmi dei monitor e mani che curano all’ospedale «Papa Giovanni XXIII» di Bergamo, questo è stato per loro il primo Natale a casa. Un giorno che coincide fra l’altro con il compleanno di Sara, e quest’anno sarà più sereno, davvero una festa di luce e rinascita.

Jasmina è originaria del Kosovo e vive in Italia con il marito Medija e le loro due bambine, Rejana e Sara. La più piccola, Sara, ha due anni, trascorsi quasi tutti in ospedale, a causa di una rara malformazione congenita. Oggi sorride, gioca, guarda la vita con occhi che sanno di miracolo. È nata con una gastroschisi complicata: «Al terzo mese di gravidanza – ricorda Jasmina – i medici mi hanno avvertito che la mia era una gravidanza a rischio e mi avevano suggerito di abortire. Mi è crollato il mondo addosso. Ho pensato, come si può scegliere di rinunciare a una vita senza nemmeno darle una possibilità?».

A Natale, due anni fa, Jasmina si era svegliata nel reparto di maternità, con un presentimento strano: «Avevo sognato qualcosa di brutto, mi sentivo inquieta. Poi sono arrivate le contrazioni e ho capito che la mia bambina stava per nascere»

La voce di Jasmina è ferma, ma dentro ogni parola si sente tremare l’eco di quei giorni in cui la speranza si era ridotta a un filo sottile. Da allora, quel filo non si è mai spezzato, facendosi corda, radice, roccia. A Natale, due anni fa, Jasmina si era svegliata nel reparto di maternità, con un presentimento strano: «Avevo sognato qualcosa di brutto, mi sentivo inquieta. Poi sono arrivate le contrazioni e ho capito che la mia bambina stava per nascere».

Non doveva essere così, era troppo presto: il parto cesareo era programmato per fine gennaio. Ma Sara aveva deciso di arrivare proprio nel giorno in cui il mondo celebra una nascita che cambia tutto, il 25 dicembre.

Quando i medici l’hanno estratta dal grembo della madre, dopo un intervento d’urgenza, hanno visto subito la gravità della situazione. «Mi hanno detto che il suo intestino era all’esterno dell’addome e che una parte era ormai necrotica, l’hanno portata in terapia intensiva. Io non potevo neanche tenerla in braccio. Vedevo le altre mamme cullare i loro bambini, mentre guardavo la mia da lontano, piccolissima, fragile».

Il primo incontro

Il primo incontro tra madre e figlia è stato muto e lancinante, e Jasmina si commuove ricordandolo. Ma nello sguardo che si sono scambiate, dietro il vetro dell’incubatrice è iniziata la loro storia: quella di due guerriere.
I mesi successivi sono stati pieni di imprevisti e preoccupazioni: «Sara pesava un chilo, era tutta intubata. Ma io sentivo che sarebbe sopravvissuta, anche se nessuno poteva assicurarmelo. Ho promesso a me stessa che non l’avrei lasciata sola».

Così ogni giorno Jasmina restava accanto a quella culla trasparente, mentre i chirurghi tentavano di restituire vita a pochi centimetri di intestino. «Ci dicevano: dovete essere pronti a tutto. Ma io non volevo pensare alla morte. Dentro di me sentivo che la mia bambina doveva vivere, che c’era un motivo per tutto quello che stavamo passando».

Quando Sara aveva pochi mesi, la famiglia è stata trasferita all’ospedale «Papa Giovanni XXIII» di Bergamo, dove il professor Lorenzo D’Antiga, direttore della Pediatria e del Centro di Epatologia, Gastroenterologia e Trapianto Pediatrico, ha preso in carico il suo caso, coadiuvato dall’équipe di medici del reparto dei trapianti e della terapia intensiva pediatrica. Quello, dice Jasmina, è stato il momento in cui la paura ha iniziato a trasformarsi in fiducia. In tutto la bimba ha subito nove interventi, l’ultimo è stato un trapianto di fegato.

La vicinanza di una comunità

Nel tempo trascorso a Bergamo, Jasmina ha conosciuto la forza silenziosa di una comunità. «Ero lontana da casa, non conoscevo bene l’italiano, tutto mi sembrava difficile. Poi sono arrivati i volontari dell’associazione Amici della pediatria, con i loro camici verdi, e la presidente Milena Lazzaroni. Sono diventati la mia seconda famiglia».Ogni giorno portavano sorrisi, piccoli gesti, parole semplici. Un gioco per Sara, una tazza di caffè per Jasmina, un’attività nuova da fare insieme, una mano tesa quando la stanchezza diventava insostenibile. «Milena io la chiamo “capo” – sorride Jasmina –. È una persona straordinaria. Mi ha insegnato che bisogna prendersi cura anche di se stessi, non solo dei figli. Se non stai bene tu, non puoi essere forte per loro».

«Con lei non possiamo fare programmi. Viviamo giorno per giorno, aspettando che la vita decida il suo ritmo». Ma poi, nei giorni scorsi, la buona notizia è arrivata davvero: Sara era pronta per essere dimessa

Grazie a loro, l’ospedale non è stato solo un luogo di dolore, ma una casa intessuta di relazioni, un posto dove crescere e imparare. «A volte mi viene da piangere pensando che ora li lascio. Sono stati loro a tenermi in piedi quando non ce la facevo più».

La primavera scorsa, quando sembrava che Sara potesse tornare a casa, un’infezione improvvisa aveva fermato tutto. «Con lei non possiamo fare programmi. Viviamo giorno per giorno, aspettando che la vita decida il suo ritmo». Ma poi, nei giorni scorsi, la buona notizia è arrivata davvero: Sara era pronta per essere dimessa.

Sono tornate a Castelfranco Veneto pochi giorni prima di Natale. Le valigie piene di giochi, vestiti e ricordi. «Quando siamo partite da Bergamo, ho pianto. Sono grata a tutte le persone che ci hanno seguito: medici, infermieri e volontari».Ora Jasmina guarda le sue due bambine – Rejana che corre per casa e Sara che la segue traballando – e sente che la vita ha mantenuto la sua promessa. «Quando guardo Sara, vedo che ho fatto la scelta giusta. Quando mi hanno proposto di abortire, ho sentito che non potevo. Sentivo di avere già una connessione profonda con questa bambina, volevo che vivesse. E il tempo mi ha dato ragione».

«Quando guardo Sara, vedo che ho fatto la scelta giusta. Quando mi hanno proposto di abortire, ho sentito che non potevo. Sentivo di avere già una connessione profonda con questa bambina, volevo che vivesse. E il tempo mi ha dato ragione»

Fuori, le luci di Natale colorano il buio d’inverno. Gli occhi di Sara, in braccio alla mamma, sembrano raccogliere ogni scintilla del mondo. Questa sarà una festa nuova di zecca per tutta la famiglia, che ora sa cosa significa rinascere. Nessun dono, sotto l’albero, può essere più grande di questo: la vita che continua, fragile e potente. Jasmina lo sa e lo ripete sottovoce, come una preghiera che ha imparato a memoria: «Sappiamo che abbiamo ancora davanti altre sfide, ma non abbiamo perso la speranza, che è stata la nostra forza. Adesso so che i miracoli esistono, ma perché si realizzino bisogna crederci».

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