Ucraina, un anno di guerra. Il cuore di Bergamo: una casa per 200 profughi

La tragedia umanitaria. Sono trascorsi dodici mesi di morte e orrori, come a Bucha e a Mariupol. A Bergamo un anno dopo continua l’accoglienza. Sono circa 200 gli ucraini accolti nelle parrocchie, nel periodo di massima emergenza erano 350. Leggi l’approfondimento su «L’Eco di Bergamo» di venerdì 24 febbraio.

A un anno dall’inizio della guerra, il bilancio della grande accoglienza. Alla vigilia del primo anniversario di guerra, il 23 febbraio l’assemblea Onu si è schierata ancora una volta con l’Ucraina. La risoluzione è stata approvata da 141 Paesi, 7 i contrari (tra cui Russia) e 32 gli astenuti (tra cui Cina e India). Il mondo ha ribadito così la condanna dell’invasione dell’Ucraina sferrata dalla Russia di Putin all’alba del 24 febbraio 2022. Da allora sono trascorsi dodici mesi di morte e orrori, come a Bucha e a Mariupol. A Bergamo un anno dopo continua l’accoglienza. Sono circa 200 gli ucraini accolti nelle parrocchie, nel periodo di massima emergenza erano 350. «Il 40% è tornato in patria, per lutti e feriti» spiega don Roberto Trussardi, direttore di Caritas diocesana. A Rota Imagna i quasi cento bambini dell’orfanotrofio di Berdjansk sono ospitati nella Casa Stella Mattutina. E l’associazione Zlaghoda continua in via Rovelli in città la raccolta di aiuti da inviare in Ucraina: «Serve ancora di tutto, specie generatori».

L’ospitalità diffusa

«Abbiamo preferito il modello dell’accoglienza diffusa in abitazioni messe a disposizione dalle parrocchie - sottolinea don Trussardi – per le mamme arrivate con i loro figli, pochissime sono state le famiglie complete o singole persone. Abbiamo scoraggiato l’accoglienza nelle proprie

case, pur essendoci persone disponibili, sapendo che la convivenza, che non sarebbe stata breve, avrebbe rischiato di creare difficoltà».

«La maggior parte delle persone - prosegue il direttore Caritas - hanno sempre espresso la volontà di tornare a casa, qualcuno invece anche con la prospettiva della fine della guerra immagina il proprio futuro qui, dove si è inserito con il lavoro e i figli frequentano le scuole, grazie anche al lavoro in rete».

Collaborazioni e interventi

Fondamentale nel sostegno verso l’autonomia di chi è arrivato è l’aiuto dei volontari e dei progetti costruiti in collaborazione con altri enti, come «Workflow – Incontro al lavoro» mirato all’inserimento lavorativo dei profughi ucraini, promosso da Provincia di Bergamo, Consiglio dei Sindaci di Bergamo, Confindustria Bergamo e Fondazione Diakonia onlus, braccio operativo della Caritas Diocesana Bergamasca.

Lo scorso febbraio alle prime notizie dell’attacco russo e della gente in fuga dalle città, Caritas si è attivata per rispondere all’emergenza: «E come sempre abbiamo ottenuto una risposta straordinaria in termini di sostegno economico, donazioni di beni e disponibilità all’accoglienza. Le parrocchie si sono attivate pur nella complessità e fatiche che comporta ospitare chi ha vissuto traumi e che si è visto costretto a lasciare la propria terra per la guerra».

«Ricordo la sera del 25 febbraio – continua don Trussardi – durante una riunione in Caritas, ho ricevuto una telefonata da una persona che mi diceva che stavano per arrivare dei profughi ucraini. L’arrivo in realtà non era così imminente, ma abbiamo compreso che si doveva dare risposta a queste persone. In una prima fase sono state messe a disposizione le strutture del monastero Matris Domini e del Seminario. Poi abbiamo coinvolto le parrocchie chiedendo appartamenti liberi».

Forte è stata la collaborazione con l’associazione Zlaghoda, che fin dalle prime notizie di quello che stava accadendo in Ucraina ha iniziato una raccolta di cibo, indumenti, prodotti per bambini, oltre all’impegno delle volontarie come interpreti.

Inoltre, in pochi giorni è stata avviata la sottoscrizione «Un aiuto per l’Ucraina» in collaborazione con L’Eco di Bergamo e Fondazione della Comunità Bergamasca: «Si sono raccolti 1,5 milioni di euro, segno della generosità dei bergamaschi e della fiducia accordata a Caritas, che quando interviene, pur con qualche errore o difetto, è in grado di dare risposte credibili».

Per don Roberto l’emergenza Ucraina ha mostrato «una Chiesa che cerca di esserci, che sa muoversi in modo compatto, coinvolgendo le comunità. La crisi della guerra in qualche modo ha risvegliato e rivitalizzato le parrocchie che si sono sentite coinvolte e si sono messe in gioco, collaborando con le istituzioni, gruppi del territorio, l’associazione Zlaghoda e la comunità ucraina bergamasca. E questo è un bel segno di Chiesa».

L’impegno continua

Dopo un anno le parrocchie continuano ad esserci per chi sta scegliendo di rimanere in Italia: «L’obiettivo era di garantire un anno di affitto e pagamento delle utenze per le persone ospitate; se qualcuno ha trovato un’occupazione è giusto che cominci a contribuire, magari pagando le bollette, per evitare forme di puro assistenzialismo. Caritas sostiene in parte le parrocchie con il fondo, con cui per esempio sono stati offerti i Cre estivi per i bambini. La volontà è quella di continuare ad accogliere con le forme adatte ad ogni situazione».

«Tutti pensavano che la guerra sarebbe stata breve – conclude don Roberto -, ma gli stessi ucraini lo temevano perché ciò avrebbe significato la sconfitta, mentre per loro l’obiettivo è non lasciare la propria terra all’invasore russo, anche attraverso una resistenza lunga e difficile».

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