«Virus sconosciuto, non c’era il manuale con le istruzioni»

L’ex ministro. Roberto Speranza sentito come testimone dai pm di Bergamo: la bussola l’abbiamo sempre avuta, ci portava a difendere innanzitutto la salute delle persone».

Altro che inefficienze e «improvvisazioni», di cui ha parlato il consulente, ora senatore, Andrea Crisanti nella sua relazione. Anzi, di fronte ad una malattia nuova e devastante, «l’Italia ha rappresentato un modello per il mondo per come ha affrontato la pandemia». Lo ha rivendicato a verbale l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, cercando di difendersi, anche se era ancora solo un testimone, da una raffica di domande dei pm di Bergamo e tracciando una linea: su certe scelte l’ultima parola spettava ai tecnici, non ai politici.

Il piano mai aggiornato

«La bussola l’abbiamo sempre avuta e ci portava a difendere innanzitutto la salute delle persone - ha spiegato, sentito una seconda volta nel gennaio 2021 - ciò che ci mancava era il manuale di istruzione su come fronteggiare un virus sconosciuto». Gran parte dell’audizione è stata incentrata sulla mancata attuazione del piano pandemico influenzale, risalente al 2006 e mai aggiornato, ma che, secondo Crisanti, avrebbe permesso, se applicato, di governare meglio la situazione, a partire dal monitoraggio dei casi, delle terapie intensive e delle scorte di mascherine e altri dpi. Un capitolo che, con quello della zona rossa non istituita ad Alzano e Nembro, è centrale nell’inchiesta che conta 19 indagati, tra cui, oltre a Speranza, l’ex premier Giuseppe Conte e il governatore Attilio Fontana.

«Il piano era datato e non costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale», ha sostenuto l’ex ministro, tirando in ballo l’allora dg della Prevenzione del ministero, Claudio D’Amario, pure lui indagato e a cui spettava il «compito» di applicarlo. «Non ricordo se qualcuno in modo specifico abbia detto che il Piano pandemico antinfluenzale non andava attuato», ha messo a verbale Speranza. Si è trattato, ha aggiunto, «di una valutazione e decisione dei tecnici di riferimento della task force e poi del Cts». Tecnici che, ha proseguito, hanno preferito «la definizione di un nuovo strumento specificamente costruito sul Covid, che, in prima versione ha cominciato a prendere forma già a metà febbraio 2020».

Fu Silvio Brusaferro, direttore dell’Istituto superiore di sanità, secondo la versione di D’Amario, a proporre «un piano specifico che a partire dalla casistica cinese e seguendo dei modelli matematici poteva meglio misurare il bisogno emergenziale». In una riunione della «task force», ha detto D’Amario, «fu illustrata la metodologia elaborata da Merler», consulente del ministero, e «sempre Brusaferro, con i suoi esperti dell’istituto preparò un piano Covid».

«Se misure specifiche per i Comuni di Alzano e Nembro, tipo zona rossa di Codogno, fossero state adottate una settimana prima rispetto all’8.3.2020, mi sento di dire ragionevolmente che avremmo avuto la metà dei contagi», ha riferito l’epidemiologo il 7 dicembre 2020

Gli scenari catastrofici

Quello stesso Merler, però, che, stando agli atti, tra cui informative della Gdf, chat, mail e relazioni acquisite, già a fine febbraio mise nero su bianco gli scenari catastrofici di diffusione del contagio. «Se misure specifiche per i Comuni di Alzano e Nembro, tipo zona rossa di Codogno, fossero state adottate una settimana prima rispetto all’8.3.2020, mi sento di dire ragionevolmente che avremmo avuto la metà dei contagi», ha riferito l’epidemiologo il 7 dicembre 2020.

Zona rossa che lo stesso Comitato tecnico scientifico caldeggiò il 3 marzo, ma Conte decise (qui dagli atti pare che la scelta fu politica) di chiudere prima la Regione e il 9 marzo tutta Italia. Ciò che salta fuori dalle carte sono le versioni a volte discordanti dei protagonisti e una sensazione di caos in quei giorni. «Ho avuto modo di riscontrare sia in sede di task force che successivamente una assoluta disorganizzazione - ha riferito ai pm Pierpaolo Sileri, che era il vice di Speranza - la mancanza di una chiara catena di comando, scarso controllo del territorio, informazioni frammentarie».

Andando indietro nel tempo un altro ex ministro, Beatrice Lorenzin, teste e non indagata, in carica fino al 2018, ha raccontato che quando «è scoppiata» la pandemia credeva «che già ci fosse il nuovo piano pandemico», perché nel 2017 Ranieri Guerra, all’epoca dg Prevenzione al ministero, «mi aveva informato che avrebbe predisposto un nuovo piano». Mentre Speranza, sempre a verbale, ha guardato anche al futuro: se dovesse arrivare «un virus diverso» ma sempre «incidente sulle vie respiratorie, saranno i tecnici del ministero, come già avvenuto in questa occasione, a valutare» se il Piano pandemico influenzale o quello Covid saranno da «attuare» o meno. «Ribadisco - ha concluso - che non è una scelta politica ma tecnica».

© RIPRODUZIONE RISERVATA