
( foto andrea belingheri)
LA NOVITÀ. Aperto il museo delle opere di Manfredo Bendotti: è visitabile nei pomeriggi di domenica e lunedì.
colere
«A lui le idee venivano di notte, perché dormiva poco. E poi l’idea doveva essere espressa nel legno dalle sue mani. Tutto questo è nato così».
«Tutto questo» sono due stanze al piano terra della casa che Manfredo Bendotti, per tutti «il Mago», scomparso lo scorso 16 aprile all’età di 93 anni, ha prima costruito e poi abitato e insieme modificato per decenni. Ogni sasso, ogni legno, persino ogni pianta, lì, ha la sua storia, si porta dietro un perché.
Manfredo Bendotti era detto «il Mago» per una storia antica, nata quand’era bambino. Eppure, mai soprannome è stato più profetico per un uomo che era capace di tutto, che sapeva costruire case come catalogare tutte le specie floreali della Presolana, che sapeva fotografare come scolpire il legno, che sapeva riconoscere una roccia dentro la quale da milioni di anni abitava un fossile marino, proveniente dall’altra vita della montagna che da sempre custodisce l’abitato di Colere.
Manfredo Bendotti è morto, ma non è morto quel che ha lasciato qui: una vita di lavoro, di opere, di ingegno, di curiosità, di capacità di osservare la realtà e tradurla – persino deriderla, con un sarcasmo sopraffino – dentro un pezzo di legno. Adesso le sue due stanze, dove in gran segreto concepiva, progettava e realizzava le sue sculture, sono diventate un piccolo museo, visitabile nel corso di quest’estate nei pomeriggi di domenica e lunedì. La casa si trova in via Cesulì 9, a Colere, ma forse non servirebbe nemmeno conoscere il numero civico per capire che è lì che ha operato quest’uomo così particolare, così sapiente, così geniale.
La sua buca delle lettere non è una buca delle lettere qualsiasi: un occhio ti guarda e una bocca golosa - ma con denti che volendo potrebbero anche farti male - accoglie la posta. «Ha fatto lui anche quella», sorride la figlia Lena, che ci accompagna nella visita mentre racconta i dettagli di quel sasso preso in quel punto là della montagna, o di quel cirmolo piantato lì perché era il suo legno preferito. «Ma non l’ha mai toccato, poi, per fare le sue sculture».
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