Lella Costa: in scena al Teatro Donizetti 100 donne valorose

Da martedì 8 a domenica 13 febbraio (ore 20.30; domenica ore 15.30), Lella Costa, nell’ambito della Stagione di Prosa della Fondazione Teatro Donizetti, porta in scena al Teatro Donizetti «Se non posso ballare… non è la mia rivoluzione», intenso monologo ispirato a «Il catalogo delle donne valorose» di Serena Dandini.

Mary Anderson ha inventato il tergicristallo, Lillian Gilbreth la pattumiera a pedale, Maria Telkes i pannelli solari. Ci sono Marie Curie, Nobel per la fisica, e Olympe De Gouges che scrisse la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Ci sono Tina Anselmi, primo ministro della Repubblica italiana; Martha Graham che fece scendere dalle punte e Pina Bausch che descrisse la vita danzando. E poi c’è Maria Callas con la sua voce immortale come immortale è il canto poetico di Emily Dickinson.

C’è Angela Davis, che lottò per i diritti civili degli afroamericani, e c’è la fotoreporter Ilaria Alpi: altro che «donne, du du du» della celebre canzone, qui le donne sono protagoniste.

Da martedì 8 a domenica 13 febbraio (ore 20.30; domenica ore 15.30), Lella Costa, nell’ambito della Stagione di Prosa della Fondazione Teatro Donizetti, porta in scena al Teatro Donizetti «Se non posso ballare… non è la mia rivoluzione», intenso monologo ispirato a «Il catalogo delle donne valorose» di Serena Dandini . Progetto drammaturgico e regia di Serena Sinigaglia. Scrittura scenica di Lella Costa e Gabriele Scotti. Scene di Maria Spazzi, ambientazione sonora di Sandra Zoccolan, costumi di Antonio Marras e progetto a cura di Mismaonda prodotto da Centro Teatrale Bresciano e Carcano centro d’arte contemporanea; partner The Circle Italia.

Lella Costa, cominciamo dal titolo: perché se non posso ballare non è la mia rivoluzione?

«Questa è una frase di Emma Goldman, che è stata un’anarchica e poi grande attivista russa emigrata in America alla fine dell’Ottocento. Era il suo modo per dire: “vogliamo il pane e anche le rose”, tra l’altro lei lo disse quando, rientrata in Russia, nel mezzo della rivoluzione, quella vera, quella sovietica, si è resa conto, prima di tutti e subito, che quella cosa lì non andava bene e infatti ha scritto che se le cose andavano avanti così, la stessa parola socialismo rischiava di diventare una maledizione. Che se ne sia resa conto subito vuol dire come spesso le donne hanno un’intuizione di quello che succede nel mondo che andrebbe ascoltata un po’ di più, e comunque la frase è molto bella».

Ma lei che ballo sceglierebbe?

«Il ballare è una metafora del modo in cui si intende la vita quindi sì le cose serie, sì i principi fondamentali, però poi ci vuole la leggerezza, ci vuole lo spazio per la creatività».

Ci sono tante donne in questo spettacolo.

«Sono diventate cento nel frattempo, abbiamo aggiunto Monica Vitti perché ci sembrava doveroso fare questo omaggio a una grandissima donna e interprete straordinaria. Abbiamo aggiunto Franca Valeri, Raffaella Carrà, sono piccoli omaggi... Questo non è uno spettacolo in cui si parla solo delle eccellenze, dalla scienza alla filosofia alla poesia, ma quello che vogliamo trasmettere è il senso della grande quantità di talenti, di creatività, di bellezza che le donne hanno sempre portato al mondo. Non è una rivendicazione, in questo senso è una danza».

Agli uomini cosa dice questo spettacolo?

«Non è affatto uno spettacolo “contro”, non c’è nessuna rivendicazione, non è un manifesto “contro”, è uno spettacolo sorridente, uno spettacolo che ricorda donne che sono state anche martiri ma che non punta il dito. È uno spettacolo per tutti, solo per dire quanta roba c’è, quanti contributi abbiamo creato anche noi. No, state tranquilli, non trattiamo male nessuno».

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