
Il piacere di leggere / Bergamo Città
Sabato 17 Maggio 2025
I killer diventano srl tra cinismo e ironia per la società di oggi
L’INCONTRO. Alessandro Robecchi presenta il suo nuovo romanzo lunedì sera 19 maggio al Circolino: un noir con il tono della commedia.
Una srl con le sue brave voci di bilancio, entrate e uscite, ordinatamente rubricate in Ufficio, «Fornitori», «Polizze assicurative», «Comunicazioni», «Varie» e fondo «Imprevisti». E poi premi di produzione, occhio all’inflazione, studio delle tariffe, studi di settore, attenzione al Target market, al cliente tipo, al marketing (il passaparola va bene, ma si rivolge a un pubblico un po’ ristretto…), progetti di «allargare la ditta», ecc. ecc. Lessico, temi, problemi, contenuti tipici del mondo aziendale.
Il dato atipico è che la srl in questione fornisce omicidi su commissione, ed è costituita da due killer professionisti, il Biondo e Quello con la cravatta, protagonisti dell’ultimo noir di Alessandro Robecchi. Con umoristica deformazione di espressione stereotipata: «Il tallone da killer» (Sellerio, 2025).
L’autore lo presenta lunedì 19 maggio, alle 20,45, nella Sala Civica del Circolino (vicolo Sant’Agata 19), in Città Alta, in dialogo con Dino Nikpalj, vicepresidente della Cooperativa Città Alta, che promuove l’incontro.
Robecchi, la cosa che più colpisce è l’ibridazione fra il genere noir, con diversi suoi ingredienti tipici, con il mondo dell’economia e della finanza, presenza più che massiccia nel testo. Perché questa operazione?
«Volevo affrontare il noir con il tono della commedia, del paradosso, e due killer che hanno la loro aziendina per ammazzare la gente mi sembrava un ottimo spunto. Far quadrare il bilancio della ditta, affrontare la concorrenza che pratica prezzi stracciati, fronteggiare gli imprevisti… la mentalità “aziendale” che domina il presente è fonte di comicità e offre qualche riflessione sulle nostre vite, credo».
«Uno dei giochi che mi sono concesso riguarda proprio il cinismo. I miei killer sono professionisti seri, fanno il loro lavoro. Penso che il cinismo della nostra società sia sotto gli occhi di tutti, lo scambio vite-contro-denaro è accettato in tutti i settori, perché non in quello del crimine?»
Ha inteso svuotare dal di dentro il genere giallo-noir, frequentatissimo, innestandovi piuttosto ciò che impera de facto nel nostro mondo? O ha voluto rinnovarlo, dando al libro una cifra di indiscutibile originalità?
«Il noir è un genere nobilissimo, che va rispettato nelle sue regole, ma resta sempre un pretesto per parlare di noi, della società in cui viviamo. L’ironia è sempre un buon linguaggio, che consente di vedere l’assurdo dove non lo vediamo più, per assuefazione. Credo che “Il tallone da killer” sia un noir che ha tutte le regole del noir – colpi di scena, svolte improvvise, azione – ma che giochi anche un po’ con quelle regole. Ad esempio, nei gialli il morto apre la storia, uccidere qualcuno sembra quasi una formalità, mentre qui si racconta che ammazzare la gente è una faccenda complicata, anche tecnicamente e – se la si mette in commedia – anche divertente».
L’assenza di ogni considerazione o valutazione di tipo etico, umano, che distingua l’attività dei killer da un qualunque altro «settore», come fare il grossista di frutta e verdura o l’impresario edile, è un tratto umoristico, ironico? A cosa mira?
«Uno dei giochi che mi sono concesso riguarda proprio il cinismo. I miei killer sono professionisti seri, fanno il loro lavoro. Penso che il cinismo della nostra società sia sotto gli occhi di tutti, lo scambio vite-contro-denaro è accettato in tutti i settori, perché non in quello del crimine? È un paradosso, ovviamente, ma in una società in cui il profitto domina su tutto mi pare una buona metafora, e in più è un motore della commedia… il fatturato prima di tutto».
I night club, i cantieri, il gioco d’azzardo, le infiltrazioni delle ‘ndrine: che Milano ha voluto descrivere?
«C’è una Milano dei ricchi, che è ormai una caricatura di se stessa, una macchietta. Una città con prezzi londinesi e stipendi italiani, vincenti che possono permettersela e gente che non ce la fa. Il ceto medio è in crisi, non può più permettersi di pagare un omicidio come si deve, per questo i miei killer tentano il salto verso gli ammazzamenti di alta gamma: il lusso è un mercato che non va mai in crisi».
L’ipotetica ditta di produzione di strumenti chirurgici dove Quello con la cravatta dice di recarsi di notte, per nascondere alla moglie dove va davvero, è «vicino a Bergamo». Il capomastro che riceve la coppia di killer nel cantiere dove vanno a cercare il loro potenziale cliente, che si chiama «Scalvini», «non ha il casco giallo, solo un berretto dell’Atalanta». Come mai questi riferimenti a Bergamo e alla Bergamasca? L’ultimo è indotto dal topos del muratore bergamasco?
«Che la zona sia un’eccellenza per la meccanica di precisione, la copertura che Quello con la cravatta usa con la moglie, è noto. Il berretto dell’Atalanta è una specie di omaggio, ma il muratore bergamasco è più di un topos, è quello che costruisce Milano, lavoro vero, nobile, duro, il lavoro materiale, che guadagna con cose solide, non quello immateriale della finanza, che fa i soldi coi soldi».
Che rapporto c’è fra questo libro e la serie di Monterossi?
«Il Biondo e Quello con la cravatta comparvero nel primo romanzo del Monterossi (“Questa non è una canzone d’amore”, 2014), e poi in due o tre racconti. In qualche modo fanno parte della banda dei miei personaggi, dello stesso linguaggio. Agiscono nella loro trama noir permettendo al lettore uno sguardo d’insieme sulla società in cui si muovono, che è una cosa sempre presente nei miei libri, che ci sia il Monterossi o no».
Monterossi tornerà?
«Ma sì, certo, lo rivedremo. Ma il personaggio non è un fine, è un mezzo per raccontare quello che gli sta intorno. Lo sguardo disincantato e un po’ blues di Carlo è prezioso per raccontare i nostri tempi, quindi sì, tornerà. Qui volevo uno sguardo un po’ più cinico, ferocemente sarcastico, perché i nostri tempi sono anche cinici e impietosi, e come diceva Billy Wilder, che della commedia era un maestro assoluto, “Se proprio devi dire la verità, dilla in modo divertente”».
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