La casa: memorie, gesti e voci che ci chiamano per nome

TENDENZE. C’è un filo invisibile che tiene insieme le nostre vite, un luogo che chiamiamo «casa», non sempre fatto di mattoni e cemento, ma impalpabile e resistente, intessuto di memorie, gesti quotidiani, voci che ci chiamano per nome.

Lo racconta «L’arte di perdersi. Storia dei miei traslochi» (Bompiani) di Lia Piano, un romanzo che si muove con la leggerezza di una danza e la profondità di un viaggio nell’anima. La sua protagonista – una donna spiritosa che ha imparato a maneggiare sogni e delusioni con cautela – eredita una casa in Liguria e con essa la possibilità di ricominciare. Ma ogni trasloco, ricorda l’autrice con ironia malinconica, è una resa dei conti dove i numeri non tornano mai. Tra le pratiche edilizie per la ristrutturazione, mobili, suppellettili e piante che crescono con i pensieri, Lia Piano costruisce un percorso che parla in fondo della cura del cuore umano. Il trasloco è metafora della vita stessa, in cui a volte perdersi è necessario per ritrovarsi.

In «Parlami di casa» (Feltrinelli), Jeanine Cummins intreccia le storie di tre generazioni di donne portoricane divise dall’oceano: Rafaela, Ruth e Daisy cercano di ritrovare la loro «casa», fatta di un linguaggio comune, un’identità, un senso di appartenenza, risalendo alle origini, ritrovando rami e radici maestosi come le piante di baniano.

Infine, «Un posto chiamato casa» (Terre di Mezzo), raffinato e affascinante albo illustrato di Victoria Turnbull, offre ai più piccoli una storia suggestiva: una famiglia di formiche perde la sua casa appesa a un filo e in un lungo viaggio scopre che tutto ciò che si rompe può essere riparato, che abitare vuol dire anche saper tenere aperta la porta per chi ha bisogno di riparo.

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