L’illusione omologata delle relazioni in formato digitale

IL LIBRO. Viviamo immersi in una rete che promette incontri e connessioni, ma spesso riconsegna solitudini, vestite di illusioni.

Molte narrazioni contemporanee contengono questo paradosso: relazioni che nascono negli spazi digitali e finiscono per riflettere solo noi stessi. In «Reti» (Mondadori), Eloy Moreno immagina una piattaforma chiamata Meteen, dove gli utenti sono definiti «un gregge». Una metafora che mette a fuoco la dipendenza dall’omologazione e dalla manipolazione emotiva dei social, diffusa tra generazioni diverse: «In internet, anche tu sei un prodotto» dice la citazione posta in esergo al romanzo.

Anche T ony Tulathimutte, in«Rifiuto» (E/O), racconta di un gruppo di persone che vivono, amano e si distruggono dentro il mondo digitale. L’identità diventa un prodotto da esibire, la verità un miraggio perso nelle immagini inserite nei social. Con tono più intimo, «Niente di serio ma vediamo» di Claudia Valeriani (Einaudi) segue una cinquantenne che si iscrive a Tinder dopo un divorzio. Nella ricerca di leggerezza, scopre un vuoto specchiante: «A 50 anni inizio a credere di averne 20». Un’illusione che diventa interrogativo sull’identità, sul tempo, sul desiderio, sulla fatica di ricominciare.

Nel giallo «Io so tutto di te» di Chiara Cacco (Gallucci), infine, una giovane influencer braccata da uno stalker mascherato da coniglio scopre il lato oscuro della visibilità: quando tutto è condiviso, ci si può sentire infinitamente vulnerabili. Diverse voci per mettere a fuoco una sottile inquietudine: nella rete cerchiamo legami, ma troviamo soprattutto frammenti di noi stessi, come nel riflesso di specchi deformanti. Forse la vera rivoluzione oggi è imparare di nuovo a guardarsi negli occhi.

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