Nembro, la tempesta del Covid e il futuro: «Dal dolore la rinascita della comunità»

MEMORIA E RESILIENZA. In libreria dall’8 marzo «Carovane», scritto da Cancelli e don Cella, ex sindaco e curato. Lutti, paure e la reazione del paese: «Riscoperta la fraternità». Il ricavato all’associazione «Migliori di così».

Quattro bambini e, di fronte a loro, il grande murale di Millo, quello che il Comune di Nembro ha voluto far realizzare sulla parete della palestra delle scuole medie, a futura memoria. I suoi colori e tratti parlano di futuro, di speranza. Ma Nembro sa quanto dolore ci stia dietro, quale sia la storia che, con quel disegno, non si vuole dimenticare. Quattro bambini reali e i due disegnati dallo street artist pugliese, l’uno a far da leva a una tavola che lancia verso il cielo l’altra, seduta su un mondo tutto da abitare. È la copertina del libro «Carovane. La tempesta del Covid e il futuro di una comunità» scritto a quattro mani da don Matteo Cella e Claudio Cancelli, curato e sindaco del paese seriano quando il virus si presentò a cambiarne ogni schema.

Che Nembro sia diventato il simbolo della tempesta del Covid è ormai noto, non foss’altro che per i suoi 188 abitanti morti dal 23 febbraio al 30 aprile 2020: «Una vittima ogni 61 abitanti, la percentuale di morti da Covid più alta d’Italia», ricorda Mario Calabresi nella prefazione. Ma Nembro ha anche un’altra storia da raccontare, ed è il motivo per cui don Cella – direttore dell’oratorio dal 2011 al 2022 fino alla nomina a parroco al Villaggio degli Sposi in città – e Cancelli che ne è stato primo cittadino praticamente nello stesso periodo, dal 2012 al 2022, hanno deciso di mettere nero su bianco ricordi, pensieri, riflessioni che aprono lo sguardo, man mano che la lettura prosegue, a «ciò che di “buono” abbiamo scoperto in questa drammatica esperienza». Con una, anzi più domande di fondo: «Saremo in grado di renderlo vivo ogni giorno e non solo nel tempo pandemico? Come conciliare la memoria del nostro passato con i nostri progetti futuri? Sapremo essere migliori o tutto ritornerà come prima?».

Migliori, sì, è l’auspicio di ogni donna e uomo per la propria vita; la missione di ogni prete e sindaco per la sua comunità. A Nembro è il titolo dell’associazione a cui gli autori devolvono i diritti di questo libro di 204 pagine edito da «Vita e Pensiero»: «Migliori di così-Festival delle Rinascite» (www.miglioridicosi.it), nata nel 2023 con l’obiettivo di offrire ai giovani nuove opportunità di dialogo con personalità importanti della cultura, della scienza e dell’attualità.

Il libro in uscita l’8 marzo e che sarà presentato il 18, giorno delle vittime del Covid, al teatro Modernissimo, raccoglie storie, gesti di vicinanza e di generosità, assunzione di rischi e creatività: «Sono le gemme che dobbiamo conservare e rinnovare ogni giorno», spiegano gli autori rendendo manifesto fin da subito, nel dipanarsi del loro dialogo fatto di ricordi alternati («Il racconto del sindaco Claudio», «Il racconto di don Matteo»), che questo non sarà una memoria di paura e dolore, non ci si fermerà qui.

L’inizio di tutto: 23 febbraio

Ecco quindi che nella prima parte del volume la narrazione a due voci non può non partire da quel 23 febbraio di quattro anni fa quando, al vicino ospedale di Alzano, si rincorsero le voci

dei primi positivi al Covid. Cancelli e don Cella ricordano le prime vittime di quel virus misterioso, la corsa a cercare le prime mascherine («Quelle degli operai comunali, in magazzino»), la sfilata di Carnevale annullata all’ultimo e la gita sul monte Podona scelta come alternativa per non lasciare soli i ragazzi dell’oratorio, una proposta che «a distanza di tempo – scrive il curato – andrebbe giudicata come inopportuna e rischiosa, un azzardo paragonabile a sporgersi da un dirupo o percorrere un sentiero in cresta. Ma in quel momento non c’era modo di decifrare la situazione con consapevolezza».

Un «clima di incertezza e sgomento rispetto a una situazione che si stava rapidamente evolvendo in modo imprevisto e i cui confini erano assolutamente ignoti – annota Cancelli ricordando la riunione dei sindaci bergamaschi convocata al Centro Congressi nel tardo pomeriggio del 23 febbraio, senza distanziamenti né mascherine, ma anche l’annuncio dell’imminente Zona rossa, mai attuata –: nessuno sapeva verso quale destino stessimo andando». Quel destino si palesò fin troppo presto, consegnato nei numeri ai rintocchi delle campane a morto. Troppi, troppo dolore: di lì a poco a Nembro si decise di non farle più suonare, quelle campane.

Ma squillava il telefono ed era lui, il sindaco che ogni sera chiamava i nembresi («Alla fine, furono ben 155 le telefonate che riuscivano ogni giorno a raggiungere mediamente 2.100 numeri telefonici di persone che rispondevano e ascoltavano. Appena si sparse la voce, in poco tempo un migliaio di cittadini si aggiunsero a quelli già inseriti nel servizio»). Un messaggio registrato per sentirsi meno soli, un resoconto di giornata fatto di fatiche da condividere, addii, esortazioni a non cedere.

La risposta alla tempesta

La seconda parte del libro ha per titolo «Le trame» e si apre a una riflessione orientata al futuro sul significato e il valore della risposta della comunità nella tempesta. Dal dolore privato al sentire comune, «Nembro rispose in modo incredibile e corale ai bisogni di una comunità così duramente colpita», scrivono gli autori aggiungendo che «solo oggi possiamo essere in grado di rileggere quel periodo spinti dalla necessità di una rielaborazione e per proiettarci in avanti. C’è un elemento decisivo per comprendere l’”esserci” di quei giorni che va chiarito subito. Sin dall’inizio era evidente che erano coinvolti due livelli esistenziali diversi e interconnessi tra loro: quello individuale e quello collettivo». Sono alcuni esempi a far entrare il lettore nel vivo di quel comune sentimento, un «ci sono, dimmi cosa devo fare» che quasi non ebbe nemmeno il tempo di stupire sindaco e curato, tanto grave era l’emergenza da gestire.

Fare, dunque: per pensare ci sarebbe stato tempo, ora anche attraverso questo libro. I ragazzi che fotocopiano in oratorio gli avvisi sulle regole stabilite dai vari decreti, da distribuire nelle case insieme alle mascherine; i cittadini che si rendono disponibili a rispondere al telefono di quel centralino comunale messo in piedi per rispondere alle più disparate richieste; i sacchetti della spesa e dei farmaci portati a chi era in quarantena. «Come è stato possibile – si chiedono don Cella e Cancelli –? A voler fare un paragone calcistico, si potrebbe dire che eravamo come una squadra che gioca a memoria perché ha imparato gli schemi: ognuno presidia la propria zona e rispetta il ruolo “assegnato”, riceve e passa la palla seguendo un’idea di gioco flessibile e adattandosi alle circostanze».

Il significato di resilienza

Slancio che dà ossigeno alla resilienza e pone le basi per il futuro: «Se l’esperienza della pandemia ha consentito la riapertura di un cantiere del pensiero che riflettesse sul senso del sé – riflettono i due autori –, allora è possibile che trovi spazio anche la comprensione del valore dell’altro. L’io percepito non più come autoreferenziale e autocentrato può essere avvertito nella sua natura di identità in relazione con l’altro. Il che significa comprendere la comunità non semplicemente come somma di individui, ma come esperienza organizzata della fraternità che definisce la natura autentica dell’umano. Come sempre, la riflessione arriva in un secondo momento rispetto alla vita: nelle settimane più buie del 2020 la salvezza della comunità è stata la consapevolezza di essere insieme», quell’«Andrà tutto bene» scritto sulle lenzuola e i teli appesi ai balconi, il grido «Móla mia» che ci ha fatto costruire un ospedale in un mese, piangere per chi veniva inviato in una clinica tedesca perché qui non c’era posto, commuovere al rientro di chi quel virus maledetto l’aveva vinto dopo mesi di Terapia intensiva.

Una nuova etica

Eppure la risposta a questa emergenza non è stata di solo istinto e sentimento: «Siamo di fronte all’esigenza di una nuova etica che consenta di vedere nel limite di ogni essere vivente e del cosmo intero la possibilità dell’incontro – si legge nel libro –. Il tempo della pandemia ha dato spunti abbondanti per questa nuova etica, indicando come modelli e nuovi eroi tutti coloro che per missione o ruolo sociale hanno fatto della solidarietà la loro stessa identità».

Certo i lutti negati, i funerali rimandati pesano ancora oggi in tante anime di chi resta, così come «il senso di colpa per “l’abbandono inumano” dei nostri malati al loro destino», trasformato «nei mesi successivi nella paura dell’oblio», eppure la presenza di chi ci ha lasciato è viva (nel libro si ricorda l’immagine toccante delle gerbere posate sulle poltrone del Modernissimo durante il concerto proposto il 25 aprile 2020 da Gianni Bergamelli, Gianluigi Trovesi e Stefano Montanari), sono «semi che generano vita e relazioni». Nembro ha attraversato la tempesta «senza perdere la traccia e il senso della nostra esistenza di fronte al dramma che si stava vivendo. E così è stato possibile legare l’eredità delle vite di chi ci ha lasciato con il progetto del nostro futuro comune: di generazione in generazione».

Impossibile allora non parlare di loro, i giovani: «Hanno insegnato alla comunità ad apprendere dall’esperienza rendendola generativa» e «il Festival delle Rinascite “Migliori di così” è nato dal bisogno di rielaborare collettivamente quanto vissuto» attraverso anche videopodcast. Soprattutto a loro Ivo Lizzola si rivolge concludendo la sua postfazione: «Resta un lavoro da fare con calma ma con profondità negli anni: un lavoro di riconciliazione e verità che tenga viva la domanda: “Chi siamo diventati?”, “Chi stiamo diventando?”».

«Carovane. La tempesta del Covid e il futuro di una comunità» sarà presentato al Modernissimo di Nembro il 18 marzo alle 20,45, il 19 marzo alle 16,30 a Bologna, il 21 alle 20,45 nell’auditorium di Curno, il 25 alle 17,30 alla Fondazione La Porta di Bergamo e il 5 aprile alle 20,45 nella sala consiliare di San Pellegrino.

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