Padre-figlio, la prudenza e l’azzardo. Missiroli il 9 marzo al Circolino

L’intervista. Marco Missiroli giovedì 9 marzo al Circolino di Città Alta: «Il libro nasce per la voglia di trattare i legami familiari. Tendiamo a darli per scontati e spesso non vengono affrontati prima che si concludano con la morte».

Il gioco: «dove vorresti essere con un milione di euro in più e cinquant’anni in meno»? La risposta del padre, del vecchio, è spiazzante, nella sua spontaneità, semplicità, arcaicità tanto retrò: «Con mio babbo a lavorare il campo. E anche in quella balera a Milano Marittima, con la mamma».

È passata solo qualche decina di anni, ma sembra si sia scavato un solco profondissimo, fra due generazioni. Quella morte della cultura contadina, semplificando e stringendo, cantata da Pasolini.

La risposta del figlio: con un milione di euro in più e 25, questa volta, anni di meno, «Voglio essere a Londra, in un appartamento all’ultimo piano…». C’è tutto lo iato intervenuto in un quarto di secolo, o poco più. Questo rapporto padre-figlio è centro e filo conduttore dell’ultimo libro di Marco Missiroli: «Avere tutto» (Einaudi, pp. 160, euro 18). L’autore lo presenterà, in dialogo con Dino Nikpalj, vicepresidente della Cooperativa Città Alta e giornalista de L’Eco di Bergamo, giovedì 9 marzo, alle 20.45, alla sala civica Sant’Agata del Circolino, vicolo sant’Agata 19, in Città Alta (ingresso libero; prenotazione obbligatoria fino a esaurimento posti).

Cosa rappresenta questo tema padre-figlio che è anima e alveo del romanzo?

«”Avere tutto” nasce per la voglia di trattare i legami familiari, che tendiamo a dare per scontati, che spesso non vengono affrontati prima che si concludano con la morte. Qui a tema c’è la grande fortuna, la grande sfida di avere una chiamata all’ultimo momento, per compiere il finale di questo legame. Ho voluto misurarmi con un archetipo letterario ultra-abusato, svolto da infiniti autori, ma vitalissimo: il rapporto tra un padre e un figlio. Che rappresentano, il padre, la prudenza della generazione passata, quella del boom economico; e, il figlio, l‘azzardo della contemporaneità, un tempo precario, eroso. È un libro abbastanza autobiografico. Il padre è quello del boom, del lavoro da ferroviere, del cartellino, del mutuo per comprarsi la casa; il figlio è vivere alla giornata, la condensazione di quanta più vita possibile nel minor tempo possibile. Ciò di cui è simbolo il gioco d’azzardo. Padre e figlio incarnano la tradizione e la modernità. Una partita finale fra due anime che finalmente si incontrano e sono orfane, rispettivamente, della moglie e madre, e che, in una casa di Rimini, si danno il saluto d’addio».

Da una parte c’è un’attenzione strenua ai dettagli («Dov’è finita la cravatta a rombi?»); dall’altra uno stile, una misura nei dialoghi, ipersintetica, senza tessuti didascalico-connettivi.

«È un libro che racconta due vite piccole, e però, in quanto oggetto di letteratura, universali. Ho pensato che i particolari della quotidianità dovessero diventare delle guide, dei rappresentanti delle vite che viviamo e abbiamo vissuto. Il dettaglio è un talismano, una forma di conduzione dell’emotività di tutti noi».

Cosa significa, nell’economia generale del romanzo, il refrain: «Cosa faresti con un milione di euro in più […]»?

«È una frase che mi ripeteva sempre Umberto Eco. Secondo lui muovere queste due variabili, il tempo e il denaro, con la libertà improvvisa che l’arrivo di una grossa somma comporta, provoca smantellamenti delle nostre sicurezze. In un libro sul gioco d’azzardo i due protagonisti cambiano le loro sicurezze ogni volta che questo ritornello si ripresenta. Corrisponde, ogni volta, a uno snodo narrativo e ad una presa di coscienza».

La grande assente, e tanto più presente, è la moglie-madre, morta prima del marito.

«È una forma narrativa a bassorilievo: più non c’è più c’è. La mancanza diventa una iper-presenza. Due maschi senza il loro punto di riferimento femminile. Potevano scegliere di essere smarriti fino alla fine, invece, grazie alla sua memoria, si amano definitivamente, e possono chiarirsi, spiegarsi, nel segno comune di lei, dell’affetto, della mancanza. È la madre che li unisce, anche se non c’è più».

Che grande fortuna questo padre: trovare una donna che resti oggetto d’amore per tutta la propria esistenza, e anche post mortem…

«La vecchia generazione ancora ce la faceva. Per noi è più difficile, quasi impossibile».

Un ritratto finale di Sandro e Nando, figlio e padre.

«Sandro è un uomo con l’azzardo in tasca ma con la prudenza nel cuore, perché valuta gli affetti. Nando è un uomo con la prudenza in tasca, ma nel cuore un azzardo che non ha mai vissuto».

© RIPRODUZIONE RISERVATA