La salute / Bergamo Città
Mercoledì 31 Dicembre 2025
Con le «Uca» lo specialista arriva a domicilio
SANITA’ TERRITORIALE. Le esperienze del «Papa Giovanni» presentate al convegno della «Liuc Business».
Portare competenze specialistiche a domicilio e rendere il territorio un’estensione naturale dell’ospedale: è l’obiettivo del progetto Uca – Unità di continuità assistenziale dell’Asst Papa Giovanni XXIII, selezionato tra le best practices presentate il 3 dicembre al convegno promosso da Liuc Business School e dedicato ai modelli innovativi della sanità lombarda.A Castellanza (Varese), nell’Aula Bussolati dell’Università Liuc, le Direzioni socio-sanitarie delle Asst lombarde hanno condiviso esperienze candidate alla Call4 «Best Practices Socio-Sanitarie in Regione Lombardia: misurare per innovare», analizzate dall’Osservatorio Performa secondo criteri di innovatività, impatto sul paziente, sostenibilità e replicabilità.
«Si tratta di progetti già realizzati e testati dalle Asst – che hanno dunque risultati misurabili in termini di impatto economico, organizzativo, sociale/etico, di efficacia/sicurezza o di sostenibilità ambientale – ma anche di iniziative progettate nel dettaglio e in fase di implementazione. Alla luce dell’analisi svolta, sono state premiate le progettualità che si sono distinte per innovatività, impatto per il paziente, sostenibilità e potenziale di diffusione in altri contesti regionali e nazionali», ha spiegato Emanuele Porazzi, Direttore dell’Osservatorio Performa.
Un modello che porta lo specialista «al letto di casa»
Le esperienze dell’Asst Papa Giovanni XXIII sono state presentate al convegno della Liuc Business School dalla Direzione sociosanitaria, grazie alla presenza di Stefania Barcella, climate manager aziendale. Il progetto Uca è un tassello centrale nello sviluppo della rete territoriale, pensata per rispondere in tempi rapidi a bisogni clinici complessi. L’équipe è composta da medici specialisti e infermieri, attiva dalle 8 alle 20, e integra anche le funzioni di Trrd – Transizione e Raccordo della Rete Domiciliare, il coordinamento che garantisce continuità tra ospedale e territorio nei passaggi più sensibili dei percorsi di cura.
Durante le visite domiciliari l’Uca utilizza strumenti diagnostici point-of-care – ecografia, emogasanalisi, Ecg, prelievi – mantenendo un collegamento costante con reparti, Pronto soccorso e servizi territoriali. Questo consente di definire rapidamente il percorso terapeutico più appropriato e, quando possibile, evitare un accesso ospedaliero, assicurando comunque una valutazione specialistica completa. L’équipe supporta inoltre i reparti nella fase di dimissione e nel follow-up dei pazienti complessi, facilitando rientri precoci e sicuri e valorizzando il domicilio come luogo di cura.
«Crediamo molto in questi progetti di sviluppo della sanità territoriale. Oggi il nostro compito, come manager della sanità, è proprio quello di portare sempre più servizi “al letto di casa” dei pazienti, creando una sinergia stretta tra le cure primarie e gli specialisti ospedalieri. A parità di sicurezza e di qualità delle cure erogate, possiamo e dobbiamo limitare i disagi dovuti a frequenti spostamenti, spesso dai territori montani e periferici verso gli ospedali urbani. Dobbiamo puntare a garantire cure più appropriate e di maggior valore a domicilio, utilizzando così al meglio le risorse e gli investimenti in sanità», ha commentato Simonetta Cesa, Direttore Sociosanitario dell’Asst Papa Giovanni XXIII.
La presa in carico territoriale della persona con scompenso cardiaco
Tra i progetti esposti dall’Asst Papa Giovanni XXIII al Convegno figurava anche il modello per la gestione territoriale dello scompenso cardiaco, una patologia cronica che richiede monitoraggio costante, educazione terapeutica e una rete integrata di professionisti. Il percorso si sviluppa su tre livelli: il primo riguarda la comunità, con incontri rivolti a gruppi di dieci persone nei Centri di Comunità, guidati dall’Infermiere di Famiglia e Comunità e da altri professionisti, con utenti segnalati da ospedale, medici di assistenza primaria e IFeC. Il secondo livello è l’ambulatorio, dove gli utenti vengono reclutati dall’ospedale sulla base di stabilità clinica, domicilio e ottimizzazione terapeutica; qui l’IFeC effettua valutazioni, prestazioni e attività educative, seguite da una teleconsulenza con il cardiologo per condividere quanto emerso e le eventuali modifiche terapeutiche. Il terzo livello è il domicilio, pensato per le persone più fragili, e prevede lo svolgimento a casa delle stesse attività garantite in ambulatorio, adattate alle condizioni del paziente. Un modello che costruisce un “cuscinetto protettivo” attorno alla persona, riducendo instabilità cliniche e ricoveri ripetuti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA