Addio a Giorgio Armani, «re» della moda. Lutto cittadino a Milano. La generosità per Bergamo durante la pandemia - Le foto

LUTTO NELLA MODA. «Eleganza non è farsi notare, ma essere ricordati»: una delle frasi più celebri dello stilista. È morto Giorgio Armani: aveva 91 anni compiuti l’11 luglio. Lunedì 8 settembre i funerali in forma privata e lutto cittadino a Milano.

In ogni mondo ci sono un prima e un dopo: per la moda, Giorgio Armani - un nome che da solo evoca uno stile inconfondibile - è lo spartiacque del «niente sarà più come prima». Perché in un tempo in cui chiunque dice senza vergogna tutto e il contrario di tutto, Giorgio Armani - mancato nella giornata del 4 settembre a Milano a 91 anni, che aveva compiuto l’11 luglio - è stato simbolo assoluto di coerenza.

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Di pensiero, che si è fatto stile, in un’unità di intenti di una vita, iniziata l’11 luglio 1935 a Piacenza, e di una carriera, cominciata nel 1975, che ha portato «re Giorgio» - come era affettuosamente chiamato - ad essere a capo di un gruppo, fieramente indipendente, simbolo del made in Italy. La camera ardente per l’ultimo saluto sarà allestita a partire da sabato 6 settembre e sarà visitabile fino a domenica 7 settembre, dalle ore 9 alle ore 18, a Milano, in via Bergognone 59, presso l’Armani/Teatro. Per sua espressa volontà, i funerali si svolgeranno in forma privata lunedì 8 settembre mentre la città di Milano ha proclamato il lutto cittadino.

Un perfezionista incoronato da «Time»

In 50 anni di lavoro, consacrati da copertine su «Time», dal successo a Hollywood, dalle One Night Only in giro per il mondo, dall’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana conferitagli dal presidente Mattarella, mai una contraddizione, uno sgarro a un’etica fatta di dedizione e passione. Che Giorgio Armani fosse un perfezionista, capace di controllare ogni vetrina e ogni uscita di una sfilata una a una,

«Sono un creativo razionale, ma la spinta - le sincere parole pronunciate nella sua Piacenza in onore della laurea honoris causa conferitagli dalla Cattolica - nasce sempre dalla passione, da un’intuizione e dal desiderio bruciante di realizzarla»

di sorvegliare da vicino ogni dettaglio, è cosa nota. «Sono pragmatico e razionale, ma le mie azioni vengono tutte dal cuore» aveva sottolineato lui, presentando anni fa il libro intitolato proprio «Per amore». «Sono un creativo razionale, ma la spinta - le sincere parole pronunciate nella sua Piacenza in onore della laurea honoris causa conferitagli dalla Cattolica - nasce sempre dalla passione, da un’intuizione e dal desiderio bruciante di realizzarla. Ogni idea, in fondo, è frutto di un innamoramento e questo lavoro, che per me è la vita, è un atto continuo di amore».

Nel suo intervento di fronte agli studenti della Cattolica, Giorgio Armani aveva ricordato anche uno dei momenti più duri della sua vita, la morte del socio Sergio Galeotti, mancato nel 1985, dieci anni dopo aver fondato con lui la Giorgio Armani. «Il destino mi ha messo a dura prova e, a seguito della scomparsa del mio socio: per far sì che la Giorgio Armani sopravvivesse, ho dovuto occuparmi di persona dell’azienda. Molti pensavano che non ce l’avrei fatta, ma - aveva raccontato con grande sincerità - grazie alla mia caparbietà e al sostegno delle persone a me vicine, sono riuscito ad andare avanti».

Una lezione di stile

I momenti difficili - la lezione consegnata ai giovani - «li ho superati con l’impegno e la dedizione e il rigore, i valori che ho assimilato in famiglia e che raccomando sempre di seguire per dar forma a ciò in cui si crede, ancora di più oggi che si moltiplicano i successi effimeri perché ciò che chiede impegno dura». Una lezione che è rimasta scolpita nelle menti e nei cuori dei presenti, da mandare a memoria per chi verrà.

Un maggiolino venduto per cominciare

Eppure all’inizio della carriera, arrivato da Piacenza a Milano, anche per lui non era stato semplice: dall’ormai mitico maggiolino Volkswagen venduto per lanciare l’attività alla paura di non essere all’altezza, ma poi «piano piano - raccontava a un’anteprima cinematografica qualche anno fa - ho preso forza e coraggio di voler essere qualcuno in questa avventura». E lo ha fatto lasciando un’impronta indelebile, che non era fatta solo di stile, ma di una visione di grande rigore: «Non sono un visionario - disse tempo fa, presentando il libro che porta il suo nome - ma una persona con i piedi per terra. Vivo la quotidianità in un mondo che ho pensato di poter servire, cui essere utile con questo lavoro».

E lo ha fatto cambiando «il modo di vestire di uomini e donne, e questa - spiegava ancora qualche anno fa - è una delle più grandi soddisfazioni». «Ho fatto la mia rivoluzione, sottile e sussurrata, ma pesante - le sue parole - scardinando delle regole dell’abbigliamento che c’erano da 30-40 anni, come proporre un abito da sera con il tacco basso, togliere rigidità alla giacca, immaginare che una donna potesse essere vestita come un uomo».

Con una carriera del genere, chiunque avrebbe riposato sugli allori, ma lui no: infaticabile fino all’ultimo, dopo il ricovero in una clinica milanese, ha dovuto rinunciare a uscire in passerella a fine show, alle ultime sfilate maschili, ma ha assicurato che sarebbe stato sempre lui ad avere la parola finale su tutto, come nella splendida mostra allestita al Silos per i 20 anni della

«Eleganza non è farsi notare, ma essere ricordati» è una delle sue frasi più celebri

linea Privé, da lui personalmente curata, come ogni cosa a casa Armani. In una dedizione assoluta al lavoro, visto come passione e vocazione magnifica e vissuto con impegno e rigore fino all’ultimo. Una rivoluzione silenziosa - come diceva lui - che ha cambiato nel profondo chi siamo oggi, dando alle donne quella divisa del potere che mancava loro e donando agli uomini quell’eleganza perfetta ma rilassata di cui non sapevano nemmeno di avere bisogno. Il mondo piange un genio visionario, chi lo ha conosciuto in tanti anni di sfilate una persona straordinaria, per cui stile non era una parola, ma un modo d’essere.

La beneficenza in sordina

«Eleganza non è farsi notare, ma essere ricordati» è una delle sue frasi più celebri. E oggi più che mai, la più adatta a celebrare non solo lo stilista, ma l’uomo che faceva beneficenza in sordina, senza sventolarlo ai 4 venti, che controllava di persona le sue vetrine fino all’ultimo, che scriveva a mano i biglietti di ringraziamento a chi aveva partecipato ai suoi show. Lui, l’uomo che dava del tu a Robert De Niro e Leonardo De Caprio, che entrava a braccetto alla Scala con Sophia Loren, che era celebrato in tutto il mondo, era soprattutto questo: un signore nell’animo.

Proprio durante la pandemia, fu vicino a Bergamo, con importanti donazioni agli ospedali impegnati nella battaglia contro il Covid-19. L’immagine della dottoressa che tiene fra le braccia l’Italia ferita, diventata uno dei simboli dell’emergenza coronavirus, fu scelta da Giorgio Armani per lanciare un messaggio al nostro Paese al termine della fase acuta dei contagi. Accanto al disegno, infatti, comparve la scritta firmata dallo stilista: «Per ripartire in sicurezza abbiamo ancora bisogno di lei». Un invito a ricominciare senza dimenticare i sacrifici e la sofferenza vissuta in questi mesi e soprattutto senza trascurare le norme di sicurezza con cui dobbiamo convivere per evitare nuovi contagi. Il maxi murale, dedicato ai medici e agli operatori sanitari per il loro contributo che non sarà dimenticato, è stato esposto in via Broletto a Milano. Il dipinto intitolato «Angeli» era stato realizzato a marzo 2020 da Franco Rivolli ed esposto su una facciata dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo.

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