Giovane archeologa supera il terrore del tumore valorizzando cura e bellezza

La storia di Sabina Ghislandi: da due anni combatte la malattia con messaggi di speranza raccolti e trasmessi con un libro.

Guardando negli occhi Sabina Ghislandi, giovane archeologa che da due anni combatte con un tumore al seno, non si trova traccia di paura, solo di speranza, gentilezza e gioia. Ed è questo il messaggio che ha deciso di trasmettere con il suo «Viaggio nella chemioterapia» (Bolis edizioni), un vademecum per affrontare le cure, con i «consigli di cura e bellezza» nati dalla sua esperienza di malattia, sofferenza e rinascita.

«Ogni cento metri – scrive Roberto Bolano – il mondo cambia», anche attraversare la sofferenza è un cammino, come testimonia la copertina del volume, con l’aspetto di una speciale «guida» di viaggio, in cui una giovane senza capelli è seduta su una valigia. Sabina è abituata a una vita in movimento, ed è questa la sua idea del mondo. Ha scoperto il tumore per caso, proprio durante uno scavo archeologico: «Mentre lavoravo – spiega – mi sono data accidentalmente un colpo al seno. Nel giro di due giorni mi sono accorta di un nodulo dolorante che con la botta si era gonfiato. Ho sempre riservato una particolare attenzione al seno, perché entrambe le mie nonne, che ora non ci sono più, hanno avuto un tumore. So bene che la prevenzione salva la vita, dai 25 anni ho scelto di sottopormi a regolari controlli. L’ultima ecografia l’avevo fatta sei mesi prima e non era emerso niente di anomalo, ma ho deciso comunque di rivolgermi d’urgenza a uno specialista, per togliermi qualunque dubbio. Così mi sono recata dal senologo Ivan Del Prato».

Un tumore maligno al seno

Il medico ha esaminato il nodulo con l’ago aspirato e la diagnosi è arrivata in fretta: «Mi hanno detto che si trattava di un tumore maligno, che era ancora piccolo, al primo stadio. Ho avuto paura, ma la situazione si è sviluppata rapidamente, e questo mi ha impedito di rifletterci troppo: ho contattato il Policlinico San Marco di Zingonia e l’intervento è stato programmato nel giro di pochi giorni. Mi sono fatta coraggio, ho subito pensato che le possibilità di guarigione fossero buone. Mi hanno sottoposto a quadrantectomia, asportando il nodulo, e l’hanno analizzato. Così ho iniziato a scoprire mille altre informazioni: per esempio che la gravità e il livello di proliferazione di quella massa erano elevati e quindi avrei dovuto sottopormi alla chemioterapia. È stato un brutto colpo, forse peggiore della diagnosi. Avevo tanta paura di ciò che sarebbe accaduto al mio corpo. Ho ascoltato con attenzione i consigli dell’oncologo, ho scelto la crioconservazione degli ovuli per garantirmi la possibilità di una gravidanza. Avevo tanti dubbi, tanti pensieri sul futuro. Temevo di dover mettere la mia vita in una bolla per cinque o sei mesi, di dover lasciare qualsiasi progetto in stand-by. In realtà ho capito che tutto procedeva comunque, anche se con ritmi che apparivano dilatati».

La complicità del parrucchiere

Sabina ha dovuto prendersi una pausa dal lavoro: «Non avevo più la forza fisica necessaria e non avrei potuto neppure sporcarmi le mani con la terra, visto l’alto rischio di infezioni. Penso sia stato importante accettare di dovermi prendere questo tempo per occuparmi di me stessa e della mia salute. L’ho deciso subito, senza aspettare che i problemi fisici mi obbligassero a scegliere. È stata una strategia vincente, perché mi ha permesso di prepararmi e di contenere meglio gli effetti collaterali. Fra le cause che possono aver contribuito alla malattia ci può essere anche lo stile di vita: di sicuro questa pausa ha innescato anche un’attenta riflessione sulla mia situazione generale». Così è iniziata una metamorfosi che ha coinvolto ogni aspetto, a partire dal corpo: «Portavo i capelli lunghi, biondo platino, con la frangia. Prima li ho tagliati a livello delle spalle, poi per non ritrovarmi le ciocche tra le mani man mano che la chemio procedeva ho deciso di rasarli a zero. Ho cercato la complicità del mio parrucchiere: avrebbe potuto essere un momento drammatico, ma con il suo aiuto e le giuste attenzioni è diventato perfino divertente. Poi ho fatto anche il tatuaggio alle sopracciglia, e ho scoperto che così mi piacevo moltissimo. Mi sono accorta che l’assenza di capelli non vuol dire mancanza di femminilità. Ho incominciato a vedermi davvero, a osservare il mio viso con più attenzione, senza pormi tanti problemi sul colore dei capelli e la pettinatura. Ho acquistato una parrucca biondo platino, l’ho scelta prima di rasare i capelli, ma poi l’ho messa pochissime volte. Ho preferito usare turbanti colorati che davano un tocco di allegria. Qualche volta andavo in giro senza coprirmi la testa, magari scegliendo un trucco un po’ più aggressivo. Se uscivo con le amiche e mi trovavo in mezzo a gente giovane nessuno ci faceva caso, lo consideravano solo una scelta un po’ audace».

«Continuare a piacersi»

Non ha ceduto alla tentazione di commiserarsi, ha continuato a cercare un altro punto di vista: «È vero che il tumore porta sofferenza e difficoltà – osserva –, ma si può continuare a piacersi, a sentirsi donne, a considerarsi belle, perché intanto la vita va avanti. Ho rinunciato a chiudermi in camera mia, ho continuato a vivere, a reagire, anche se con ritmi diversi. C’erano momenti di grandi risate, non era sempre tutto nero. Ho una mamma molto dolce ed energica che mi è stata molto vicina. Mi hanno aiutato molto anche le mie nipoti, con la loro allegria e spontaneità, continuando a trattarmi come prima, offrendomi una sensazione di normalità. Ho potuto contare sulle mie sorelle e le mie amiche. Non ho smesso di incontrare persone nuove, di confrontarmi, uscire la sera e mandare messaggi buffi per sdrammatizzare».

Man mano che il suo corpo cambiava a causa delle terapie, ha inventato nuove contromisure: «Avevo perso peso, dovevo comprarmi abiti nuovi. Allora, per gioco, ho pensato di creare una specie di set fotografico e ogni volta che ne indossavo uno scattavo una foto, come se fossi una modella. Mi sono resa conto che tenere un diario e conservare alcune immagini è un modo per conservare le tracce del percorso. Quando poi sono andata a recuperarle per scrivere il vademecum non è stato facile, mi è costato un po’ di fatica ricordare quei momenti, ma l’ho fatto comunque, perché l’obiettivo era aiutare altre persone. Il lavoro di ricostruzione è servito anche a me, per inquadrare meglio avvenimenti e situazioni, e per rendermi conto di quanto fosse positivo il cammino che avevo compiuto: ora sono qui, ho riconquistato una buona qualità di vita, mi sento bene, mi sono lasciata il peggio alle spalle».

«Chi nel cammino della vita – scrive Madre Teresa di Calcutta – ha acceso anche soltanto una fiaccola nell’ora buia di qualcuno non è vissuto invano», così Sabina ha pensato di impegnarsi per aiutare altre donne come lei a superare «il terrore che si prova di fronte alla parola cancro e alla prospettiva della chemioterapia». L’idea del vademecum è iniziata per gioco, con qualche battuta scherzosa rivolta al senologo: «È una persona molto attenta anche agli aspetti psicologici ed emotivi della cura, mi ha incoraggiato a scrivere la mia esperienza raccogliendo consigli e indicazioni utili anche ad altre pazienti, con il tono leggero e scherzoso che mi è proprio, e poi attraverso di lui questo lavoro è arrivato al Rotary Club Bergamo Sud, che ha anche questa funzione: accogliere progetti che possono essere messi a servizio della comunità. Così il volume è stato pubblicato e questo mi ha permesso di raggiungere un pubblico più ampio. Da allora mi hanno contattato donne che stanno affrontando la stessa patologia ma anche persone che vorrebbero stare vicine a un proprio caro malato di tumore ma non sanno da che parte iniziare».

Il gruppo delle «Amazzoni»

Sabina ha scoperto il valore della solidarietà reciproca e del mutuo aiuto tra pazienti frequentando il gruppo di supporto delle «Amazzoni» in cura al Policlinico di Zingonia: «All’inizio delle terapie avrei voluto indossare gli auricolari ed evitare di ascoltare le storie degli altri, poi invece ho incontrato persone splendide. Stavamo insieme durante le chemio ma parlavamo d’altro, di viaggi, delle nostre passioni, delle nostre vite. Era un momento di confronto prezioso e mai pesante. Ci capivamo al volo e profondamente, perché le nostre esperienze erano simili. Da quando è iniziata la pandemia purtroppo le attività sono sospese, ma prima c’erano sedute di estetica oncologica, laboratori artistici, iniziative sportive, mostre, conferenze. In futuro mi piacerebbe dare vita a un podcast ispirato ai contenuti del vademecum e diventare a mia volta promotrice di incontri per offrire opportunità di incontro e approfondimento. Ci sono state subito tantissime richieste per il volume, e questo mostra che le persone hanno voglia di comunicare, ascoltare ed essere ascoltate. Per me è un dono: dà senso a ciò che ho vissuto». Per richiedere il volume si può scrivere a [email protected] indicando nome e indirizzo a cui spedirlo.

Dopo tanto dolore, Sabina ha conquistato il suo nuovo inizio: «Sono arrivata al momento in cui posso di nuovo guardare al futuro, e questa esperienza è la mia arma segreta per affrontare con un nuovo sguardo le prove che mi trovo davanti. Penso che se ho superato il tumore e la chemio posso farcela anche con il resto. Ho saggiato le mie capacità di resistenza, il mio coraggio, la mia tenacia e grinta nell’affrontare la vita. La malattia, con tutto il suo terribile impatto, mi ha aiutato a capire dove stavo andando e cosa voglio veramente. Mi sono resa conto di non essere pronta a morire, di avere ancora molto da fare. Lascio che la vita mi sorprenda: ogni momento, ogni nuovo incontro ora rappresentano un dono. Sono profondamente grata di ciò che ho e non do niente per scontato».

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