Linate, un dolore lungo vent’anni che non passa mai

L’8 ottobre del 2001 l’incidente aereo: morirono 118 persone e 8 passeggeri erano bergamaschi. È stata la più grande tragedia dell’aviazione civile in Italia.

Rota-Rota-Rota. Tre colpi dritti allo stomaco scorrendo la lista dei passeggeri di quel volo SK086 da Milano Linate a Copenaghen. Papà Giovanni, mamma Clara e il piccolo Michele di soli 6 anni, «Michelino» come continuerà a chiamarlo Paolo Pettinaroli, scomparso nel 2015, l’infaticabile presidente del Comitato 8 ottobre che ricorda le vittime della tragedia di Linate.

Vent’anni fa oggi, un dolore che sembra fresco di ieri, di quelli che non passano mai. Centodiciotto morti, 8 bergamaschi: oltre alla famiglia Rota a bordo di quel volo della Sas c’erano Simone Zanoli, Angelo Scaburri, Romano Blasi, Renato Dosmo e Gian Bortolo Bettoni. La più grande tragedia dell’aviazione civile in Italia.

La dinamica dell’incidente

Un lunedì mattina molto milanese, di quelli con la nebbia e un viavai continuo di passeggeri pronti ad imbarcarsi per ogni dove in una Linate che brulica come un formicaio: i primi voli del mattino, quelli che ti consentono di arrivare a destinazione pronti per cominciare con il lavoro. Un lunedì mattina come tanti, magari con l’inevitabile pensiero a quanto successo poche settimane prima, a quell’11 settembre che ha segnato in modo indelebile le nostre vite, soprattutto quella di chi deve prendere un aereo.

Gesti meccanici, la coda in tangenziale, il parcheggio, il check-in, il gate d’imbarco, la partenza fissata per le 7,35. Invece la nebbia fa ritardare tutto e solo alle 7,54 l’Md87 della Sas con a bordo 110 persone tra passeggeri ed equipaggio comincia a rullare sulla pista in vista del decollo: alle 8,10 si stacca appena appena da terra ma sulla sua rotta trova un Cessna, un piccolo velivolo privato, con a bordo 4 passeggeri che taglia letteralmente la strada. Letta così, e ogni volta fa impressione dirlo, sembra un normale incidente automobilistico per una mancata precedenza, e la dinamica è proprio la stessa.

Solo che l’Md87 ha quasi raggiunto i 300 chilometri orari e spezza in tre parti il Cessna polverizzandolo: il comandante capisce di aver perso un motore nell’urto e pure parte del carrello, tenta di prendere quota ma non ce la fa e l’aereo si schianta contro il deposito bagagli che prende fuoco e si ferma a poche decine di metri da una pompa di benzina sul viale che conduce a Linate.

Il solo superstite

Nell’incendio del capannone muoiono anche 4 dei 5 addetti al lavoro, si salva solo Pasquale Padovano che riporta ustioni su oltre l’80% del corpo e che in questi 20 anni ha subito oltre 100 operazioni chirurgiche. I soccorritori che per primi arrivano sul posto si trovano davanti l’apocalisse: l’aereo in parte in fiamme, il visibilissimo capannone a scacchi bianco e rossi squarciato a metà. Non c’è nulla da fare e lo si capisce subito: chi non è morto nell’urto non si è comunque salvato dal fuoco che ha avvolto la parte posteriore dell’aereo.

Nel giro di pochi minuti a Milano si sentono solo ambulanze, un concerto impazzito di dolore, ma è tardi, non c’è più nulla e nessuno da salvare, solo prepararsi. I soccorritori manco scendono dai mezzi, vengono mandati in aerostazione ad occuparsi dei parenti che stanno arrivando da tutta la Lombardia dopo aver saputo da radio e tv (internet era ancora agli albori) dell’incidente. Sono scene strazianti, tutti sperano ci siano dei superstiti, ma le notizie non arrivano e quel poco che trapela fa presagire il peggio.

I giornalisti arrivati sul posto vengono letteralmente assediati dai familiari di chi era sull’aereo per avere notizie di prima mano, qualche barlume speranza, ma fino al primo pomeriggio non arriva nulla di ufficiale, fino a quella lista con i nomi di tutti i passeggeri. Non si è salvato nessuno, su Linate cala un silenzio irreale, nessuno vola più: si sentono solo le grida disperate dei parenti, barricati nella sala «Amica». Qualcuno si aggira per il parcheggio, a martoriare il telefonino e a parlare con casa, lo sguardo nel vuoto, le lacrime che non si fermano.

«Errori, negligenze e fatalità»

La famiglia Rota era di Clanezzo, Angelo Scaburri di Grumello del Monte, Simone Zanoli di Verdellino, Renato Dosmo di Brembate Sopra, Romano Blasi di Lovere, Gian Bortolo Bettoni di Villongo. Il dolore travolge tutte le loro comunità e non finisce nelle settimane successive alla tragedia, perché Linate lascerà segni e purtroppo farà ancora vittime, travolte da un dolore troppo grande.

Pochi giorni dopo, alla celebrazione di suffragio in Duomo, davanti alle più alte cariche dello Stato, con l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in testa, il cardinale Carlo Maria Martini dice tre parole che restano come pietre: «Errori, negligenze e fatalità». In piazza ci sono 5.000 persone in silenzio, ma i loro sguardi chiedono giustizia.

Nel 2004 arriva la prima condanna per 7 persone tra Enac ed Enav, in appello diventeranno 9 ma con pene ridotte. L’indulto del 2006 ridurrà di 3 anni tutte le pene: alla fine solo 2 funzionari restano in carcere e per pochi mesi. Vent’anni dopo, invece, c’è sempre quel dolore che ritorna. Domenica scorsa sono morte 8 persone: erano a bordo di un aereo privato decollato da Linate come quel Cessna 20 anni fa: ha perso quota e si è schiantato contro un edificio a San Donato Milanese. In via 8 ottobre 2001.

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