Gambe bloccate a 25 anni, la street art apre nuove vie e la vita riprende colore

Andrea Casillo Artista di Chiuduno si racconta dopo la mielite trasversa. Suo il murale dell’ospedale Covid in Fiera.

«Ora è l’arte a portarmi dove non riesco più ad arrivare con le mie gambe». Andrea Casillo vive a Chiuduno, ha 42 anni e da 17 si sposta su una carrozzina, come conseguenza di una mielite trasversa, una grave infiammazione del midollo spinale. Nella street art ha trovato una strada per rinascere: «I colori spray sono sempre stati la mia migliore medicina». Con le «bombolette» di colore e il nome di battaglia Kasy23 («Il numero del campione di basket Michael Jordan, il mio mito da sempre») crea opere di grande impatto emotivo, capaci di portare luce nell’oscurità, come è capitato nella sua vita. La sua sensibilità e capacità espressiva lo hanno portato a partecipare a manifestazioni ed esposizioni in Italia e all’estero e a cimentarsi in molte commissioni di grande rilievo sociale, per conto di enti pubblici e di privati.

Una notte di lavoro in Fiera

Fra esse, per esempio, il murale realizzato per l’Ospedale temporaneo alla Fiera di Bergamo nel mese di giugno del 2020, poi donato al Papa Giovanni XXIII, dove ora è in attesa di una collocazione definitiva. Un’occasione unica, in cui Andrea si è trovato a trasformare il dolore in bellezza, in una maratona d’arte durata un giorno e una notte, con le sue bombolette spray, in sottofondo le note di un pianoforte. «È stato uno dei lavori più emozionanti che abbia mai realizzato – osserva Andrea –. Quando mi hanno

accompagnato a fare un giro della struttura mi sono venuti i brividi pensando che fino a pochi giorni prima in quelle corsie erano ricoverati i malati di Covid-19. L’area in cui ho lavorato era quella in cui venivano portate le persone decedute. Quando ho preso in mano i colori mi sono sentito come se fossi in preda a un incantesimo. Era domenica, ho lavorato dalle due del pomeriggio fino alla mattina del giorno dopo. Non mi era mai successo prima, non so dove ho trovato le energie. Sono stato accompagnato da un volontario della Protezione Civile che era lì per la sorveglianza notturna e ha suonato il pianoforte per tutta la notte. Mi ha raccontato di aver seguito l’ispirazione del momento, l’atmosfera che sentiva nella sala: ha scelto brani allegri, intensi, offrendoli come un omaggio a tutte le persone che erano state in quel luogo e a tutti quelli che hanno perso la vita a causa della pandemia». Un’esperienza che gli ha toccato l’anima, e Andrea ancora si commuove ripensandoci.

Il murale in ricordo di un’alunna

Un murale può essere un modo per «mettere colore dove c’è del grigio», come dice sorridendo Andrea, ma anche di conservare la memoria e creare legami come è avvenuto nel caso di quello realizzato a giugno nel giardino della scuola primaria di Chiuduno in memoria di un’alunna, volata in cielo troppo presto per una malattia. «La scuola ha promosso un concorso per scegliere i soggetti da rappresentare coinvolgendo tutti i bambini. Il tema erano «I girasoli», i fiori preferiti della bambina, che incarnano la sua allegria e la sua gioia di vivere. I 300 disegni realizzati sono stati esposti in una installazione nel giardino della scuola, e poi io ho incluso nel murale, su 50 metri quadri di parete, quelli che sono stati scelti come finalisti. Anch’io durante il lavoro di preparazione ho conosciuto la bimba attraverso i racconti dei genitori e i disegni dei compagni. Nel murale ci sono i personaggi che amava, come i dinosauri, e il suo pupazzetto preferito, un delfino, accanto ai disegni che volano, portati dal vento, fino al cielo, per arrivare vicino a lei».

Andrea ha realizzato anche alcuni murales nel carcere di Bergamo, sia nella sezione maschile sia in quella femminile, per rendere più accoglienti i luoghi dove i detenuti incontrano i loro figli. L’amore per la street art è sbocciato negli anni delle scuole superiori, Andrea ha fatto i primi esercizi sui muri dell’istituto Natta, dove si è diplomato. «In quegli anni oltre a studiare facevo il pizzaiolo - spiega - e quando ho terminato gli studi si è presentata l’occasione di rilevare l’attività dove lavoravo. Così a 21 anni ho stipulato un mutuo e per quattro anni ho lavorato bene, riuscendo a ripagare il debito per la mia pizzeria. Poi purtroppo, a 25 anni, all’improvviso è cambiato tutto».

Lo stop improvviso da giovane

Nel pieno dell’estate Andrea, molto sportivo, passava con disinvoltura da un lungo giro in bicicletta sui colli di San Fermo a un pomeriggio al golf con gli amici. Una sera, però, il 16 agosto, ha avvertito un insolito dolore alla schiena: «Pensavo a una contrattura, sono andato a farmi fare un massaggio dal fisioterapista, ma la situazione è peggiorata, la sera stavo malissimo. Mi sono rivolto alla guardia medica che mi ha somministrato un antidolorifico. Ho passato comunque la notte in bianco. Al mattino mi sono accorto che le gambe non mi reggevano più e ho chiamato un’ambulanza».

«Non ho perso tempo piangendomi addosso, in 17 anni non mi sono più guardato indietro. Mi sono dedicato ai piccoli obiettivi di ogni giorno e poi a quelli più grandi, un passo alla volta, fino a diventare l’uomo che sono oggi»

Quella data rimane come uno spartiacque tra «prima» e «dopo». Il ricovero in ospedale, le analisi, le terapie, e dopo dieci giorni è comparsa quella carrozzina ai piedi del letto che suonava già come una sentenza definitiva: «I medici - racconta Andrea - mi hanno detto subito che non avrei più potuto camminare. L’infiammazione si stava estendendo anche alle mani, ma per fortuna sono riusciti a fermarla. A settembre mi hanno spostato alla Casa degli Angeli per la riabilitazione, e ci sono rimasto fino a dicembre. A differenza di una persona che ha subito un trauma stavo bene, perciò mi sono impegnato fin dall’inizio per riconquistare tutta l’autonomia possibile. Non ho perso tempo piangendomi addosso, in 17 anni non mi sono più guardato indietro. Mi sono dedicato ai piccoli obiettivi di ogni giorno e poi a quelli più grandi, un passo alla volta, fino a diventare l’uomo che sono oggi».

«Ci sono persone così - come scrive Banana Yoshimoto - capaci di ricominciare infinite volte senza paura di sbagliare». Andrea ci si è messo d’impegno, «anche se la mia vita è stata completamente stravolta». Ha venduto la pizzeria mentre si trovava ancora in ospedale, ed è ripartito adattando alla sua nuova condizione l’appartamento che gli aveva lasciato sua nonna: «Ho eliminato le barriere architettoniche e sorprendendo la mia famiglia ho deciso di andarci a vivere da solo. I primi tempi mi portavano da mangiare e mi lavavano i panni, poi pian piano ho imparato ad arrangiarmi da solo. I miei amici mi sono stati molto vicini sempre, sia nel periodo che ho trascorso in ospedale sia dopo. Ho vissuto bene questi anni nonostante tutto».

Anche lo sport lo ha aiutato molto: «Nel periodo della riabilitazione mi hanno fatto provare diverse discipline. All’inizio mi sono dedicato al basket in carrozzina. Far parte di una squadra è stata un’esperienza bellissima e preziosa, avevo a che fare con persone che già da anni si spostavano sulla carrozzina e avevano molto da insegnarmi. Ho iniziato anche a giocare a tennis, e in seguito ho proseguito con quello, perché mi dava più soddisfazione, anche a livello agonistico». Ha iniziato a lavorare part time nella segreteria del Comune di Chiuduno, ha ritrovato un suo equilibro.

L’affetto di moglie e figlia

E nella sua vita è entrata Maryluz Bella: «La nostra storia è singolare. Ci conoscevamo da bambini, lei è di origine boliviana ed è stata adottata da piccola da una famiglia che abitava poco lontano da noi. I nostri genitori erano amici, abbiamo frequentato le stesse scuole elementari. Poi lei si è trasferita in Sicilia con i suoi, e in seguito ha deciso di trasferirsi a Roma, dove si è laureata in Lingue. Per tutti questi anni ha sempre mantenuto i contatti con le amiche a Chiuduno, a cui era molto affezionata, e una di loro le ha suggerito di tornare qui, dove si è sempre trovata bene, per lavorare come insegnante. È così che ci siamo incontrati di nuovo: i suoi genitori hanno saputo della mia malattia e l’hanno invitata a venire a trovarmi. Quando ci siamo rivisti è scattato qualcosa, abbiamo iniziato a frequentarci e non ci siamo più lasciati. Ci siamo sposati nel 2014 e ora abbiamo una figlia di quattro anni che si chiama Stella. Anche i genitori di Maryluz sono tornati a Chiuduno, così ora viviamo vicini».

Lo spray è stato un ingrediente importante per tornare alla normalità: «Non appena ho avuto la possibilità di uscire dall’istituto di riabilitazione sono andato a dipingere perché volevo verificare se ero ancora in grado di farlo. Ora devo lavorare in squadra e contare sull’aiuto dei miei amici, soprattutto per raggiungere le parti più in alto. Ho escogitato tanti espedienti per poter spostare la carrozzina, a volte salgo con la carrozzina sui trabattelli dei cantieri. Ho iniziato anche a dipingere su tela, mantenendo il mio stile». Andrea è un creativo e coltiva mille passioni: in una stanza colleziona oggetti legati al mondo della «Coca cola» e realizza piccoli oggetti in resina.

Le barriere da abbattere

«Ci sono tante fatiche, anche per le azioni più semplici spesso devo impiegare il doppio del tempo rispetto a prima. Le nuove tecnologie aiutano, grazie a uno sponsor posso usare per esempio una carrozzina superleggera molto adatta allo sport e alla street-art. Ho una carrozzina elettrica che mi permette di accompagnare tutti i giorni mia figlia all’asilo. C’è ancora molto da fare per le persone che sono costrette a spostarsi su una sedia a rotelle: le barriere da eliminare lungo le strade e nei luoghi di villeggiatura. Vado in vacanza da sei anni in Sicilia a San Vito Lo Capo dove c’è una spiaggia accessibile che si chiama Zero Barriere. Sarebbe bello se fosse possibile trovarne dappertutto», perché chi deve affrontare la disabilità non senta di abitare «in un mondo a parte».

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