«La montagna siamo noi è il nostro bene comune da tenere ben stretto»

Inchiesta Terre alte. Mario Bezzi è il presidente della Sit che gestisce lo sviluppo del comprensorio Ponte di Legno-Temù: «I soci? La metà sono i cittadini».

Non dite a Mario Bezzi che la montagna è un territorio disagiato. Cambiate, e profondamente, prospettiva. E non lamentatevi. La montagna è un territorio ricchissimo, dice. Oltre che spettacolare. Pieno di risorse, fragile sì, come ogni cosa bella. Infine, amatele le terre alte e, soprattutto, tenetevele strette. A Ponte di Legno hanno fatto così, perseverando e valorizzando con le proprie forze ogni metro di neve (e boschi e quant’ altro) senza attendere improbabili stranieri in arrivo con dollari o altra valuta. A distanza di vent’ anni dall’avvio del «Grande sogno», in quello che per numeri è il secondo comprensorio sciistico della Lombardia (prima c’è Livigno, ma fa già molto Svizzera e poi è veramente «lontano») si macinano risultati, a mani basse.

Mario Bezzi presiede la Sit, la Società impianti turistici del comprensorio Ponte di Legno-Tonale. La Sit si occupava di impianti, languiva abbastanza anche perché la stagione vera a Ponte di Legno era l’estate: pochi hotel, un botto di seconde case, Umberto Bossi in canottiera. D’inverno si andava a Sharm, Maldive, i primi tropici. E in montagna dall’altra parte del Corno d’Aola, di là, in Trentino e poi in Alto Adige, paradiso dello sci. Insomma, Ponte di Legno vivacchiava. Nel 2003 Bezzi diventa sindaco. Avvia quell’anno, insieme all’allora sindaco di Temù, Corrado Tomasi, l’aggregazione dei Comuni dell’Alta Valle Camonica.

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Coordina la Commissione Intercomunale che diventa poi Unione dei Comuni di Ponte di Legno, Temù, Vione, Vezza d’Oglio, Incudine e Monno. Poi, sempre in collaborazione coi suoi colleghi sindaci, diviene promotore del progetto di sviluppo che si chiama romanticamente «Il grande sogno». Si concretizza nell’anno 2007 nel progetto di ampliamento e collegamento del Demanio sciabile Temù-Ponte di Legno-Tonale. Sempre nel 2003 Bezzi diventa presidente della Sit, dopo 20 anni lo è ancora. A quell’epoca la Società degli impianti fatturava un milione e mezzo di euro e ne perdeva 250mila. Oggi fattura 20 milioni e uno e mezzo di utile. «Ma non è questo il punto».

A Ponte di Legno hanno fatto così, perseverando e valorizzando con le proprie forze ogni metro di neve (e boschi e quant’ altro) senza attendere improbabili stranieri in arrivo con dollari o altra valuta.

Qual è il punto?
«L’assetto societario».

Sit è una public company.
«È per metà pubblica e per metà di 1.500 soci: commercianti, operatori turistici, proprietari di case, tanti di seconde case. Nessuno prende dividendi, per i soci ci sono sconti sugli skipass, il resto viene reinvestito. La Sit è della gente dell’alta Valle Camonica ed è questo il punto. Siamo noi i tutori e i gestori dello sviluppo della nostra terra. Non è venuto nessuno da fuori a salvarci. O meglio, qualcuno lo aveva promesso in passato, dal Club Mediterranèe fino ai giapponesi che avrebbero regalato il collegamento con il Tonale per promuovere un trenino-prototipo: abbiamo capito da subito che lo sviluppo di Ponte di Legno e dei Comuni vicini non poteva che stare nelle nostre mani».

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Oggi Sit è una compagnia che conta anche la gestione di centrali idroelettriche. Cosa c’entra con gli impianti di risalita?
«Le quattro centraline che producono energia green fanno 50 milioni di kw l’anno e un utile netto di due milioni, che reinvestiamo. Faccio un esempio: negli anni della pandemia e degli impianti chiusi, i ricavi delle centraline ci hanno consentito di tenere in ordine i bilanci e di continuare a investire».

Parola d’ordine, diversificare?
«Diversamente, non cresci. Lo sci tira il 75% dell’economia di questo comprensorio. Ma un territorio deve vivere tutto l’anno. Abbiamo avviato progetti per 100 milioni, alcuni si concretizzeranno nei prossimi anni, 30 solo per le terme».

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Le terme, in pieno centro. Qualcuno obietta.
«Più di qualcuno, ma è la scelta giusta. Ponte di Legno ha ancora pochi alberghi rispetto alle seconde case, ha bisogno di vita in centro, è lì che mancano ancora contenuti. Merano e Bressanone le terme le hanno in centro. A realizzare il complesso delle terme abbiamo chiamato un archistar, Casamonti, che ha progettato per esempio le Cantine Antinori. Abbiamo convogliato l’acqua di Sant’ Apollonia che scende dal Gavia, è un’acqua fredda che scalderemo con l’energia della centrale a legna che abbiamo già realizzato. Fonti rinnovabili. Le terme ci consentiranno di avere gente tutto l’anno. Nei prossimi tre anni avremo altri 100 posti letto per i turisti nel comprensorio. Diversifichiamo».

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Ma diceva, 100 milioni. Le terme e poi?
«Altri 60 per l’ampliamento del demanio sciabile. E 10 per l’agroalimentare».

Grandi chef?
«Speriamo. Intanto, il progetto nasce legato a due necessità di questa comunità dell’alta Valle Camonica: dare valore ai prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento, comparto importante che va sostenuto con l’avvio di una fattoria-vetrina nella zona dove abbiamo creato l’area estiva del Sozzine Park. Tutto questo si incontra con quello che è un altro motore di attrazione del turismo: il cibo. Ma quel che mi preme sottolineare ancora una volta e con forza è l’ottica, il faro che muove le strategie di Sit: lo sviluppo del territorio. Perché sennò la gente se ne va e il territorio muore».

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Però lo sci non è più così sostenibile.
Nevica poco, sparare neve costa, i costi dell’energia sono esplosi, le mete per il tempo libero sono tante, i giovani sulle piste ci vanno poco. «Non è sostenibile se non hai centraline idroelettriche che lo rendono sostenibile sul piano economico. Se non hai un demanio sciabile che va da mille metri ai tremila del Tonale, se non li hai collegati in modo che la gente possa sciare tutto il giorno su piste diverse con un unico skipass. E lo sci è un enorme presidio di tutela del territorio, di cura e di tutela. Per quel che riguarda l’impatto, in fondo gli impianti sono qualche palo e qualche stazione di atterraggio. Un domani, non servisse più, lo smonti e le sue tracce spariscono».

I «puristi» non sarebbero d’accordo.
«Perché conoscono poco la montagna. E la gente di montagna. Sit guadagna e reinveste. Ma c’è un grande sogno che tiene in piedi questa grande fatica. Non sono i soldi, è questa terra. Chi parla della montagna come di un’area geografica svantaggiata, sbaglia. Qui c’è una ricchezza che basta solo vederla e farla crescere».

Bisogna anche trovare i soldi per garantire sviluppo e servizi.
«Abbiamo presentato progetti che evidentemente avevano senso, proprio in chiave di sviluppo sì economico, ma anche sociale. Stato, Regione, enti e investitori li hanno ben sostenuti, ma ripeto, gli utili vengono tutti reinvestiti. Le terme costano 30 milioni, ma avremo in pieno centro una piscina sospesa a 25 metri d’altezza, da lassù si vedranno solo le montagne. Uno spettacolo».

Avete avviato il «sogno» nel 2003, quello di Ponte di Legno-Tonale è oggi nella top ten dei primi 10 comprensori alpini italiani. La regia «unica» ha premiato.
«I Comuni di montagna sono piccoli, da soli non hanno alcuna forza, nè economica, nè progettuale, nè strategica. Per elaborare progetti importanti e per andare a trovare i fondi, serve stare uniti e guardare tutti nella stessa direzione. Nell’assetto societario di Sit c’è tutt’ oggi l’Unione dei Comuni dell’alta Valle. La spinta, e non mi stanco mai di ripeterlo, è pensare alle comunità e al territorio. Tenendosele ben strette queste terre alte ricchissime di risorse di ogni tipo. Svizzera, Austria, Alto Adige: territori interamente montani eppure con redditi pro-capite altissimi, solo che hanno una politica attenta anche alle specificità dei luoghi e non focalizzata esclusivamente alle esigenze delle grandi città».

A investire nelle terme sarà ancora la Sit?
«Sì, sfruttando l’acqua termale di Santa Apollonia: altra risorsa inutilizzata da valorizzare a dovere».

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Le Orobie bergamasche sono diverse, non hanno lo sci sul ghiacciaio e qui i paesi sono proprio piccoli. Si fa fatica.
«Non vogliamo dare lezioni a nessuno, ci mancherebbe, serve solo che si convincano che un’opportunità c’è per tutti, basta cercarla. Quel che abbiamo fatto noi è stato in fondo, copiare da chi già sapeva fare meglio: Trentino, Alto Adige, Dolomiti, lì già guardavano avanti 30 anni fa. Sono realtà certamente molto differenti, ma in comune hanno la bellezza e le risorse della montagna. Siamo partiti da qui, sapevamo di poter contare su questo, sulla nostra gente e sui nostri beni comuni. Ecco, la chiave della forza dello sviluppo di Ponte di Legno-Tonale è questa: siamo stati insieme e abbiamo creduto alla nostra montagna. La neve, certo, sempre. Non si abbandonano gli impianti. Ma si deve lavorare per fa crescere anche tutto il resto, insieme alle comunità».

Moltissime le risposte al sondaggio che abbiamo avviato su Instagram: «Cosa aiuterebbe a ripopolare le valli bergamasche? Il 35% punta a una migliore accessibilità delle strade, il 30% chiede incentivi alle famiglie; il 20% presidi sanitari e formativi e il restante 15% opta per defiscalizzare chi fa turismo.

Sulla nostra pagina Instagram sono arrivate anche molte risposte e riflessioni aperte, con suggerimenti per una montagna bergamasca più dinamica e popolosa. Tra le idee dei lettori creare lavoro nei paesi di montagna offrendo più servizi, aggiungere attrazioni per turisti, creare ecovillaggi indipendenti e sempre più eventi attrattivi con un’attenzione mirata nei confronti delle giovani generazioni.

Online continuano le attività social su Terre Alte: in settimana sondaggi e storie sulle nostre montagne e nuovi temi su cui dire la proprio opinione.

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