Alla Casa dell’Orfano di Clusone: «I compiti, il bagno nel Serio. Così la guerra restava fuori»

LA STORIA. I ricordi di cinque ex allievi, il ricercatore che li ha intervistati: «Lì si provava a realizzare una piccola utopia di cura».

Clusone

Spaccati di vita quotidiana, in cui «non c’era un vero e proprio “clima da istituto”, con il controllo e la sorveglianza che ci si aspetterebbe». A dirlo è Fabio Fregona, di Castione della Presolana, che come dottorando in Management Accounting and Finance dell’Università di Bergamo ha intervistato alcuni ex allievi della Casa dell’Orfano di Clusone, nel centenario dell’inaugurazione. «Ho parlato – spiega – con cinque orfani di guerra tra gli 84 e i 95 anni. Erano nella Casa in tempo di guerra e nell’immediato dopoguerra. Vista l’età, si capisce bene che rischiamo l’oblio della memoria, anche se le storie degli allievi continueranno a vivere attraverso i figli e nipoti. Ma la nostra esigenza è quella di restituire “le” storie, plurali, “alla” storia».

«Molti mi hanno detto: “Non ci accorgevamo della guerra da lì dentro”»

Un «piccolo paradiso»

Continua Fregona: «Dal “piccolo vivere”, come mi ha detto un signore, possiamo tentare di ricostruire quello che rappresentava per i giovanissimi abitanti e forse, di riflesso, anche per chi quella Casa l’aveva pensata e costruita», vale a dire don Giovanni Antonietti, lui stesso orfano di padre. Dalle memorie emerge un «piccolo paradiso», definizione che è di una intervistata. «Un lembo di terra ben protetto – è l’analisi del dottorando – e giustapposto rispetto allo spazio esterno, stravolto dal caos della guerra mondiale. La Casa era protezione, cinta dalle sue mura che ne facevano uno spazio altro, tant’è che molti mi hanno detto: “Non ci accorgevamo della guerra da lì dentro”».

Una grande organizzazione

Dalle trascrizioni di Fabio Fregona emerge una grande attenzione per gli ospiti: «Non ci è mai mancato niente», «Si mangiava sempre il primo e il secondo e qualcosina di merenda». C’erano la pasta il martedì e il venerdì, il risotto la domenica. La sera minestra con pane e fichi o marmellata. L’educazione era al primo posto: «Si aveva la possibilità di andare a scuola – ha ricostruito il ricercatore –, in generale le condizioni erano migliori rispetto a chi viveva “fuori”. Con una grande organizzazione del tempo e del lavoro: sveglia alle 7, si iniziava a pregare per la Messa delle 7,30. Le signorine più grandi assistevano i bambini e controllavano l’igiene, perché la sera Antonietti ispezionava le orecchie. Alle 8 la colazione, la scuola iniziava alle 9. Per andare alle medie si raggiungeva Clusone a piedi. Alle 12 il pranzo, poi si puliva e dalle 14 alle 16 si lavorava, ognuno aveva i suoi piccoli compiti. Alle 16 merenda, poi si giocava fino a che alle 19 c’era la preghiera. Dopo la cena si andava a dormire».

«La Casa provava a realizzare una sua piccola utopia quotidiana di cura, ordine e opportunità»

Ancora Fregona: «Venivano adottate strategie per gestire i bambini e farli crescere in modo sano. Si sceglievano accuratamente i posti al tavolo in modo che mangiassero tutti: si metteva uno che mangiava poco con un gruppetto di mangioni, per stimolarlo». E poi piccole evasioni per andare a fare il bagno nel Serio, furberie per accaparrarsi la frutta mentre le suore sospendevano la pulizia per pregare in chiesa. Ne inventavano pure per portare via le uova dal pollaio o le carote dall’orto: «Foravano le tasche delle braghe alla zuava che venivano date quando si entrava nella Casa, così i pantaloni ben stretti alle ginocchia si riempivano di ogni altra cosa che si trovava», racconta Fregona, che conclude: «La Casa provava a realizzare una sua piccola utopia quotidiana di cura, ordine e opportunità».

Si chiude il centenario

A cent’anni dall’apertura sabato se ne è parlato in un convegno a Bergamo, presente tra gli altri lo stesso Fregona con Lorenzo Migliorati, docente di Sociologia all’Università cittadina, mentre domenica 23 novembre ci sarà la conclusione dell’anno di commemorazioni (info: www.casadellorfano.it) con la Messa alle 10,30, un concerto e il pranzo nella Casa di Ponte Selva. In tanti la ricordano, insieme a monsignor Antonietti e ai suoi collaboratori, con riconoscenza.

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