Cronaca / Valle Seriana
Venerdì 05 Dicembre 2025
Il ricordo di don Sandro Dordi: «Ho paura, ma devo celebrare Messa»
IL RICORDO. Il reporter Fornoni ricorda il sacerdote seriano, ucciso in Perù da Sendero Luminoso nel 1991. Non volle abbandonare la sua gente nei villaggi, nemmeno dopo le minacce. Dieci anni fa la beatificazione.
C’erano più di 20mila persone il 5 dicembre 2015 nello stadio di Chimbote, nel nord del Perù, a 400 chilometri da Lima. Ma l’occasione non era sportiva. Una moltitudine di fedeli si era raccolta in quel luogo per celebrare la beatificazione di un sacerdote italiano adottato dal popolo del Perù come un padre e un fratello: Alessandro Dordi, «don Sandro». È stato ucciso dai killer di Sendero Luminoso il 25 agosto 1991 su una strada sterrata tra Vinzos e Santa. Nello stadio di Chimbote si è celebrata solennemente la sua beatificazione, chiesta a gran voce dalla sua gente fin dal giorno della sua barbara uccisione. Con lui sono diventati Beati, per intervento diretto di Papa Francesco, anche due sacerdoti polacchi uccisi qualche giorno prima, il 9 agosto di quello stesso anno.
I dieci anni dalla beatificazione
Ero presente anch’io quando il cardinale Amato, Prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, inviato dal Papa a celebrare la cerimonia, ha ricordato la figura di don Sandro, partito da Gromo San Marino, una frazione del comune di Gandellino, nell’alta Val Seriana. Erano presenti anche l’ambasciatore italiano in Perù, il sindaco di Gandellino, il fratello Alcide e tre nipoti, oltre a qualche amico. C’era il Vescovo di Bergamo, monsignor Beschi, c’erano decine di altri vescovi, tra cui il futuro Papa Francis Prevost, e centinaia di sacerdoti in rappresentanza di tutto il continente sudamericano.
Il momento più toccante e centrale, nello stadio di Chimbote, è stata la lettura della lettera in latino che Papa Francesco aveva consegnato al Cardinal Amato, suo delegato alla consacrazione. Un documento che resterà nella storia della Chiesa, a testimonianza di un martirio dell’epoca moderna che ricorda i momenti più tragici e gloriosi di chi ha dato la propria vita per la fede cristiana. «Io do la mia vita per le mie pecore, come Gesù, il buon pastore» si leggeva su una delle lapidi poste nella cappella fatta erigere da monsignor Bambarèn (all’epoca Vescovo di Chimbote) e dalla comunità dei fedeli nella chiesa di Santa.
«Ho paura ad andare a Vinzos, perché sento che oggi mi uccideranno. Ma io devo andare a celebrare la Messa, perché la mia gente mi aspetta». Erano state queste, poste su un’altra lapide, le ultime parole di don Sandro Dordi prima di avviarsi in macchina sulla strada di Vinzos. Le circostanze stesse di quella morte annunciata hanno colpito fin da subito il sentimento e il cuore delle 30 comunità che don Sandro seguiva nella sua missione in Perù. Ero presente quel giorno anche alla veglia che si tenne quasi 35 anni fa davanti alla bara aperta del sacerdote italiano ucciso, nella sua chiesa, a Santa. Un momento di una intensità e di una commozione che non potrò mai dimenticare.
C’era anche molta paura nell’aria, perché in quegli anni i fanatici di Sendero Luminoso avevano steso una cappa di terrore e di violenza su tutto il Paese. In particolare dove operava don Sandro, nel nord del Perù. I guerriglieri non accettavano che la Chiesa prendesse le parti dei civili coinvolti nei rastrellamenti e nelle sanguinarie operazioni militari di Sendero Luminoso, proclamando a gran voce un appello alla pace.
La storia di don Dordi
«Noi non volevamo lasciarlo andare da solo», mi ha confidato Orlando Orué, uno dei due catechisti che accompagnavano don Sandro in quel giorno fatale. «Avevamo paura, ma seguirlo in missione, condividere il suo entusiasmo trascinante, era per noi anche un motivo di orgoglio e di gioia. È per questo che siamo saliti in macchina con lui». Quel pomeriggio del 25 agosto 1991, don Sandro si stava recando con una vecchia Toyota nella solitaria frazione di Vinzos, dove era atteso una volta al mese per celebrare la Messa. Dietro una curva, trovò la strada sbarrata da alcune grosse pietre e dovette fermarsi. Due terroristi balzarono armati fuori dai cespugli. «L’intenzione era probabilmente quella di far salire padre Sandro sul retro della macchina», ricordava l’altro catechista, Vicini Tolentino. «Probabilmente volevano ucciderlo subito dopo da qualche altra parte. Il padre non volle però muoversi. Si limitò ad alzare le braccia ripetendo la frase “No, per favore, no”. Nient’altro, solo queste parole ripetute tre volte: “No, per favore, no”. Lo tirarono fuori a forza e lui continuava a ripetere quelle parole. Poi l’assalitore fece due passi indietro, alzò la pistola ed esplose due colpi, alla testa e al cuore». «Ci fecero scendere – ricordava Tolentino – “Non ce l’abbiamo con voi, ma con i preti, ci dissero. Poi, finalmente, ci lasciarono lì sulla strada e sparirono a tutta velocità con la macchina».
La lotta armata in Perù
Per quasi vent’anni, la lotta armata dei rivoluzionari di Sendero Luminoso è stata l’incubo del Perù. Il movimento era nato ispirato dalla dottrina marxista, per combattere la corruzione e l’ingiustizia del governo centrale, ma era poi caduto in una spirale di violenza e atrocità che trovava come prima vittima proprio la popolazione civile. Gli abitanti dei villaggi più sperduti erano schiacciati tra le imposizioni di Sendero e la controguerriglia dei militari governativi. Negli ultimi anni, si era creato anche un nefasto intreccio tra l’attività di Sendero Luminoso e il narcotraffico. In questo scenario, i missionari apparivano come uno dei pochi punti di riferimento per una popolazione stremata e sottoposta a infiniti soprusi.
L’impegno per gli ultimi
Sono stato ancora una volta nei luoghi dove ha lavorato per undici anni padre Dordi, impegnato a trasformare il Vangelo in una condivisione di vita e di speranza. In quei villaggi sperduti di fango e paglia, di gente povera legata alla terra, don Sandro aveva anche fatto costruire canali di irrigazione, dispensava consigli e prodotti per le coltivazioni, si prodigava senza mai tirarsi indietro di fronte alla fatica. Era questo il suo modo di intendere e proclamare l’annuncio del Vangelo. Quando ricevette le prime minacce, i suoi superiori gli avevano consigliato di allontanarsi dalla regione. Lo stesso monsignor Bambarén aveva ricevuto intimidazioni e minacce. Una bomba era addirittura scoppiata davanti alla porta della sua casa. In quella occasione, il Vescovo di Chimbote aveva chiamato a raccolta tutti i religiosi della sua diocesi, invitandoli a lasciare la propria missione perché troppo forte ed evidente era il pericolo. «Se non ve ne andate da qui uccideremo un sacerdote ogni settimana», avevano intimato i guerriglieri. Ma don Sandro, come del resto tutti gli altri religiosi della diocesi, aveva invece deciso di restare. «Noi non possiamo abbandonare le nostre pecorelle quando il lupo si avvicina», avevano risposto tutti con umiltà e fierezza.
Una piccola cappella
Nel luogo del martirio di don Sandro Dordi, c’è dal 1996 una piccola cappella color celeste. In quello stesso luogo, su una piccola spianata di terra al di là della strada, monsignor Bambarén, accompagnato dalla comunità di Santa ha deposto una pietra squadrata, accanto alla quale ci sono oggi anche tanti fiori, testimonianza della fede semplice e sincera di quanti hanno conosciuto e amato padre Sandro.
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