Marcinelle, una ferita ancora aperta:
«Il lavoro deve essere motivo di dignità»

IL PELLEGRINAGGIO. I bergamaschi al seguito del vescovo hanno fatto visita alla miniera di Bois du Cazier dove nel 1956 persero la vita 262 lavoratori. Monsignor Beschi: «Purtroppo ancora oggi si muore così».

Non si può morire per il lavoro perché il lavoro dà dignità e libertà all’uomo. La morte sul posto di lavoro è una contraddizione. Non è solo una questione di sostentamento o, meglio, lo è ed è importante ma non può essere totalizzante per la nostra vita. Noi non siamo il nostro lavoro ma il lavoro ci aiuta a essere noi stessi. Ed è proprio nella soddisfazione di mettere a frutto le proprie competenze, di dare un ritmo e un senso alle giornate, anche di sentirsi utili, il senso ultimo del lavoro. In altre parole, ci realizza.

E allora come è possibile morire per un’attività che ci rende più uomini? Domanda alla quale ancora oggi fatichiamo a rispondere perché spesso la sicurezza e le condizioni in cui si svolge la propria attività non sono adeguate proporzionalmente al valore più grande che il lavoro dovrebbe garantire: la vita. Domanda che ieri ha permeato la mattinata dei duecento pellegrini bergamaschi, nel viaggio nel cuore dell’Europa organizzato dall’Agenzia Ovet accompagnati dal vescovo Francesco Beschi, a Marcinelle nella miniera di carbone Bois du Cazier in Belgio. Un luogo sacro perché qui 262 emigranti a caccia di lavoro, non proprio dignitoso, trovarono la morte a causa di un incendio scoppiato in una galleria che saturò tutti i cunicoli senza lasciare scampo a chi era di turno fino a una profondità di 1.035 metri. Tra le vittime anche il bergamasco Assunto Benzoni di Endine e originario di Cerete che perse la vita a pochi mesi dal compiere trent’anni lasciando la moglie, una bimba di un anno e un’altra figlia che sarebbe nata pochi giorni dopo la sua tragica scomparsa.

Il significato di Marcinelle

Marcinelle ha significato per tanti italiani una speranza, una possibilità, ma l’8 agosto 1956 quel sogno del lavoro sicuro, nel senso di stabile, si è drammaticamente rivelato mortale. Una ferita aperta che i pellegrini bergamaschi hanno vissuto attraverso la testimonianza di Loris Marina Piccolo, originaria del Friuli, che rimase orfana a Marcinelle a 8 anni, prima di tre fratelli. Durissime le sue parole, frutto di un ricordo ancora vivissimo che offre con sincerità ai visitatori, comunicando il dolore indelebile che le è rimasto dentro: «Mio papà Ciro Natale non doveva lavorare quel giorno, ma si offrì per sostituire un collega nel suo turno, ma dal pozzo non è più risalito. È stata una morte tremenda. E le colpe di chi gestiva la miniera sono enormi perché le porte di sicurezza che erano state progettate non furono mai aperte. Così mio padre e tutti gli altri 261 minatori fecero la fine dei topi». Loris non risparmia i suoi sentimenti nel descrivere la vita di quegli anni «nella miseria più totale. Chiusi in baracche di legno e latta senza alcun comfort per le quali dovevamo pagare anche l’affitto. La campagna di reclutamento della manovalanza in Italia fu pura propaganda: offerte di stipendi alti in lire che poi si riducevano nel cambio con i franchi. Noi bambini abbiamo vissuto in una comunità internazionale in condizioni di vita malsana, qui dentro si parlavano 12 lingue». Quell’embrione di Europa non è quella che conosciamo oggi. E il sito di Marcinelle, che le autorità locali volevano radere al suolo per costruirci un centro commerciale, è lì a richiamarci un passato che non deve tornare, proprio come si chiude il filmato proiettato all’interno dell’ex sito minerario: «The past present for the future».

Questa non è stata solo una visita che ha toccato le corde emozionali dei pellegrini bergamaschi. È stata anche l’occasione per pregare per tutte le vittime del lavoro. Nel luogo della tragedia, il vescovo Beschi ha simbolicamente spezzato un pane, segno del sacrificio condiviso che si trasforma in vita, e ha deposto un cero e un mazzo di fiori, aiutato dai due piccoli pellegrini di 9 anni Michelangelo e Stefano, davanti alla stele che riporta i nomi di tutte le vittime di Marcinelle. Monsignor Beschi ha ricordato che «morire nel lavoro, a causa e per il lavoro è ancora una realtà. Ho visitato miniere in Bolivia dove di media ci sono due morti al giorno. Bisogna creare le condizioni perché il lavoro possa essere vissuto con serenità. Vorremmo che tutti lo sperimentassero, anche coloro che oggi si mettono in viaggio per trovare un’occupazione. L’Italia è ancora un Paese di migrazioni e in Europa arrivano persone con la speranza di una vita migliore. Per tutti il lavoro deve essere motivo di dignità».

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