La ricerca di UniBg rende sostenibile il Made in Italy

Sono numerosi i partenariati virtuosi tra l’Università di Bergamo e le imprese. Tra gli sviluppi più promettenti ci sono le leghe di nickel e titanio, prodotte da materiali riciclati, ma anche tecnologie al servizio della salute e tessuti green

Bergamo

Dalle nuove leghe per la stampa 3D ai tessuti ecocompatibili, fino ai modelli di business circolari: sono alcuni dei progetti che i ricercatori dell’Università degli studi di Bergamo stanno portando avanti in collaborazione con le aziende all’interno del partenariato «Mics, Made in Italy circolare e sostenibile» . Finanziato dal Pnrr, «Mics» rappresenta un’opportunità unica di condivisione dei saperi, delle pratiche e delle esperienze per costruire soluzioni innovative per un made in Italy più sostenibile, resiliente e competitivo, grazie al contributo di università e imprese da ambiti diversi.

Uno dei filoni più promettenti riguarda l’additive manufacturing, nel quale la ricerca è rivolta allo sviluppo di leghe di nickel e titanio innovative, prodotte anche da materiali riciclati. Il progetto «Naipram», inserito in «Mics», ha portato all’ottimizzazione di un processo di stampa 3D a letto di polvere per lega ottenuta da prodotti giunti a fine vita, ottenendo componenti più resistenti, durevoli e sostenibili rispetto alle tecniche tradizionali.

Nuovi modelli gestionali

UniBg guida anche il fronte dei nuovi modelli organizzativi e gestionali. Con «Pay-per-X» si sperimenta la servitizzazione nel settore machinery : in questo progetto sono stati definiti modelli di business alternativi alla vendita tradizionale e strumenti per l’analisi di costi e benefici lungo l’intero ciclo di vita dell’offerta, così da supportare le imprese in scelte più consapevoli e sostenibili.

Con «Restart» si è realizzata una mappatura ad ampio spettro delle strategie e pratiche aziendali per fornire raccomandazioni pratiche sul miglior percorso da intraprendere per una corretta transizione verso la circolarità, anche tramite la riconfigurazione della filiera per garantire maggiore resilienza. Non manca l’attenzione al digitale: grazie al lavoro sui digital twin delle supply chain e all’uso dell’intelligenza artificiale, sono stati sviluppati strumenti di analisi della filiera per anticipare rischi e interruzioni, rafforzando la resilienza delle imprese.

Questi progetti testimoniano l’impegno e l’attenzione dell’Università di Bergamo verso l’innovazione, la sostenibilità e la crescita attraverso la collaborazione continua con le aziende partner e del territorio. È infatti nella collaborazione quotidiana tra laboratori e aziende che l’innovazione prende forma. «Mics», articolato in otto aree di ricerca, dà a questa collaborazione una cornice nazionale, nella quale l’ateneo bergamasco rappresenta un nodo centrale della trasformazione sostenibile del Made in Italy.

Tecnologie al servizio della salute

Una piattaforma che integra intelligenza artificiale, sensori indossabili, dispositivi di tracciamento e realtà estesa per offrire assistenza predittiva e personalizzata, in ospedale e a domicilio: è «IReMoS» (Integrated rehabilitation and monitoring system), la nuova frontiera della teleriabilitazione.

Il progetto «Anthem» è stato sviluppato dall’Università di Bergamo con il coordinamento della professoressa Caterina Rizzi, dall’Università Milano-Bicocca e dall’Ospedale San Gerardo di Monza. Esso introduce il «gemello digitale del paziente», un modello che analizza in tempo reale dati clinici per ottimizzare le cure. Le applicazioni vanno dalla chirurgia cardiaca alla neurologia e alla riabilitazione sportiva, con monitoraggio costante, recuperi più rapidi e cure più accessibili. «Si tratta di un modello di assistenza sanitaria intelligente, sostenibile e inclusiva – dichiara Rizzi – pensato per chi vive in comunità remote o densamente popolate, dove l’accesso agli ospedali può essere limitato o difficoltoso».

L’Università di Bergamo è sempre più un punto di riferimento anche quando si parla di innovazione in ambito salute: nel progetto «Anthem», infatti, medicina e ingegneria collaborano per disegnare il futuro della cura mettendo la persona al centro. Il progetto, sostenuto con 120 milioni di euro dal ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del Piano nazionale complementare al Pnrr, si configura come una delle più significative iniziative di ricerca italiane ed europee.

La fondazione, guidata dal professore Stefano Paleari, già rettore di UniBg, ha sede proprio nella provincia bergamasca e vede il coinvolgimento, insieme all’Università degli studi di Bergamo, dell’Asst Papa Giovanni XXIII, di Ferb (Fondazione europea di ricerca biomedica), Confindustria Bergamo e di Humanitas University. Un lavoro corale che porta benefici concreti al territorio, ma soprattutto apre scenari inediti per la ricerca applicata.

La riabilitazione post trauma

Nell’ambito del «Physio-motion lab», guidato dalla professoressa Elena Bergamini, responsabile del gruppo di ricerca in Ingegneria Biomedica di UniBg, si sviluppano strumenti capaci di analizzare il movimento e i parametri fisiologici, utili per la riabilitazione dopo un trauma o un intervento chirurgico. Non solo: queste tecnologie trovano applicazione anche nello sport, tanto a livello amatoriale quanto professionistico. Non a caso il laboratorio collabora con il Centro nazionale mobilità sostenibile (Most), che a Bergamo ha uno spoke dedicato alla mobilità leggera, in cui si stanno studiando nuove soluzioni per la biomeccanica del ciclismo, con test condotti grazie a strumenti innovativi nati dalla ricerca.

Un altro progetto già operativo, sviluppato presso il «Digital health lab» di Dalmine, riguarda l’accesso al Pronto Soccorso. Nell’ambito del Pilot 1.2, guidato da Mattia Cattaneo di UniBg, insieme ad Asst Bergamo Est, Asst Papa Giovanni XXIII e Ferb, è stato messo a punto un sistema di accoglienza digitale. Totem multilingua accolgono in pochi minuti informazioni preziose sullo stato di salute del paziente, facilitando la comunicazione con il personale sanitario e permettendo diagnosi più rapide e mirate. Uno strumento pensato in particolare per i pazienti più fragili, ma che porta vantaggi a tutti, rendendo anche più efficiente l’organizzazione sanitaria.

La collaborazione tra l’ospedale Papa Giovanni XXIII e l’Università di Bergamo ha poi aperto la strada ad un altro fronte di ricerca: la gestione del diabete. Il gruppo di Roberto Trevisan, direttore dell’unità di Diabetologia, e il laboratorio di Automatica coordinato dal professore Antonio Ferramosca, stanno studiando protocolli per misurare con precisione la glicemia durante l’attività fisica. I dati raccolti serviranno a costruire modelli predittivi del consumo glicemico, fondamentali per sviluppare gli algoritmi del Pancreas Artificiale, un dispositivo che promette di rivoluzionare la vita dei pazienti diabetici.

La filiera tessile diventa green

Oggi i consumatori chiedono capi di abbigliamento che non solo siano belli da indossare, ma che siano anche sicuri per la salute, con materiali che non irritino la pelle, non rilascino sostanze indesiderate e inquinino meno lungo tutto il ciclo di vita.

Nel progetto «Donizetti», sviluppato nell’ambito del partenariato esteso «Mics» con il coordinamento del professore Giuseppe Rosace, l’Università di Bergamo, in collaborazione con il Cnr-Stiima e Cnr-Ismn, sta mettendo a punto trattamenti che nascono da materie prime rinnovabili e da sottoprodotti valorizzati dedicati alla filiera tessile. Al posto di prodotti chimici non sempre a basso impatto ambientale, si propongono ingredienti più green e sostenibili: estratti di piante, zuccheri e acidi naturali immobilizzati in microcapsule, proteine e particelle minerali che, in opportune combinazioni, rendono i materiali antifiamma, idrorepellenti, antibatterici o, semplicemente, più durevoli.

Le prove di laboratorio confermano l’efficacia dei trattamenti e la possibilità di scale-up industriale. Per le imprese del settore tessile significa ridurre il consumo di acqua, energia e le emissioni di sostanze, senza rinunciare alle prestazioni dei loro prodotti. Per i consumatori tutto questo si traduce in un abbigliamento più sicuro. Il progetto rafforza la competitività delle filiere locali e offre un modello replicabile a livello nazionale di innovazione concreta, volta ad accelerare la transizione ecologica del Made in Italy.

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