Volevo capire l’assurdità della violenza e della guerra. Volevo capire come una terra considerata santa da 14 confessioni religiose, che lì hanno convissuto insieme per millenni, possa essere diventata oggi il simbolo della divisione e della tragedia. Dopo 7 anni di distruzioni e di bombardamenti, di verità e di menzogne, la Siria sta oggi lentamente uscendo dall’incubo. Le forze governative hanno ripreso il controllo sull’80 per cento del territorio e le milizie integraliste dell’Isis che minacciavano di disgregare il Paese dall’interno sono state ricacciate verso le frontiere meridionali.
Lo scenario che si sta oggi configurando, nel quadro incoerente e pressoché incomprensibile che i media hanno dipinto in questi anni, è quello di una vittoria del presidente Bashar al Assad, nonostante l’ostilità dell’America, di Israele e di gran parte del mondo occidentale. A decidere l’esito della guerra è stato invece l’intervento della Russia, schierata a fianco del governo siriano, così come l’Iran e gli Hezbollah del Libano. Sono stati i suoi interventi militari mirati sulle postazioni dell’Isis ad invertire un esito che sembrava annunciato. E che avrebbe visto il paradosso di un trionfo delle forze integraliste favorite da chi si è sempre dichiarato il loro più acerrimo nemico.
Eccomi dunque al confine tra Siria e Libano, sull’autostrada per Damasco che va riprendendo il suo ruolo di arteria vitale per il Paese. Accompagno due frati francescani che rientrano nel convento di Bad Touma, all’interno della città vecchia. Le distruzioni non si vedono ancora. Attraverserò poi interi quartieri devastati, ma sono alla periferia della capitale, nelle zone di Douma e Goutha. Sono piuttosto i check-point, numerosissimi e presidiati dai militari siriani, a far capire che la tensione resta alta. Voglio capire qualcosa di più di questa guerra incomprensibile e assurda dalla voce di chi l’ha vissuta in prima persona. In particolare dai religiosi cristiani, che qui erano e sono una comunità rispettata e importante. Nel santuario di San Paolo, là dove l’apostolo ebbe la sua conversione, raccolgo la prima sconcertante testimonianza.
«Ci sono tante cose da chiarire su questa guerra», mi dice fra Raimondo, che ha vissuto fin dall’inizio il dramma di questo Paese. «La prima è che non è stata una guerra civile, né di religione. Le varie comunità vivono ancora oggi una accanto all’altra, diffuse ovunque. Non ci sono quartieri o ghetti. I cristiani hanno sofferto come tutti gli altri e il nostro compito qui, la nostra missione è quella di testimoniare l’amore, non l’odio. I musulmani siriani sono gente buona, i loro valori sono molto simili ai nostri. La lezione di questa guerra è che la pace è un dono di Dio, ma va alimentata e cresciuta nei nostri cuori, giorno per giorno. È quello che tutti insieme oggi vogliamo ricominciare a fare».
Le cifre della guerra sono impressionanti. Si parla di mezzo milione di morti, 2 milioni e mezzo di feriti, di 8 milioni di sfollati interni e di oltre 5 milioni di profughi all’estero, di 13 milioni di persone che hanno ancora bisogno di assistenza umanitaria. I dispersi sono oltre 50 mila. La guerra ha di fatto costretto oltre metà dell’intera popolazione siriana a lasciare la propria casa. Il 66 per cento dei bambini, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, ha perso un familiare, la propria casa o è rimasto ferito.
«Ho pensato spesso in questi anni alle lamentazioni bibliche», mi confessa il cardinale Mario Zenari, da me incontrato nella Nunziatura di Damasco. «Nel Vangelo leggiamo della strage degli innocenti. Ma qui abbiamo vissuto le stesse cose, le abbiamo viste con i nostri occhi, abbiamo visto morire i nostri bambini». Il cardinale Zenari è il capo della Chiesa latina in Siria, ha visto ridursi ad un terzo, a 800 mila fedeli, il numero della popolazione cristiana in quella che viene ancora definita storicamente «Terra santa».
«Questa è una guerra per procura - afferma senza esitazioni il cardinale Zenari -. È partita come uno scontro armato regionale per diventare poi conflitto internazionale, con 10 eserciti direttamente coinvolti. Per alcuni mesi ci sono state solo dimostrazioni pubbliche dopo il venerdì della preghiera. Ma poi è subentrato qualcos’altro. Sono entrate nel Paese le milizie armate, sono intervenuti interessi politici esterni. La guerra finirà soltanto quando anche all’interno delle Nazioni Unite si sentiranno parole di riconciliazione non di guerra e di odio. Le devastazioni della guerra sono state già immense. Ma ancora più grandi sono le ferite degli animi».