Fresatori introvabili: «Formati 50 l’anno ma ne servono 200»
LA PROFESSIONE. Lavorazioni anche per l’aerospaziale. Grazioli: «Sono in diminuzione dalla crisi del 2008». Nieri (Fim-Cisl): «Attività svolta sempre più da stranieri».
La carenza di operai specializzati in Bergamasca è talmente radicata che non è più una novità, eppure ci sono certe professioni classificate addirittura come «introvabili» tra i profili delle agenzie per il lavoro. Si tratta di saldatori, tornitori e fresatori, figure così ricercate che i corsi professionali, pur formandone una cinquantina all’anno, non soddisfano il fabbisogno delle aziende che è di almeno 200 all’anno.
Gli ultimi dati ufficiali a disposizione sono stati diffusi dall’agenzia per il lavoro Iziwork, presente a Bergamo dal 2021 con un «hub» e, proprio rispetto alle figure professionali più richieste in provincia, ha fornito alcuni numeri significativi. Sul nostro territorio, il lavoro in somministrazione è in crescita nella manifattura e nell’industria della gomma e plastica, con particolare riferimento alla «Rubber valley», il distretto collocato tra Bergamo e Brescia, che conta circa 300 aziende e oltre 3 mila addetti. Seguono meccanica, elettronica ed elettrotenica. I lavoratori più richiesti sono operai generici (30%), metalmeccanici (20%), addetti allo stampaggio (25%), carrellisti (10%) e cernitrici (15%), mentre alcune figure professionali sono definite introvabili, appunto, e si tratta di fresatori, attrezzisti, stampatori e addetti alle macchine cnc, ovvero le macchine a controllo numerico.
Una miriade di applicazioni
«Sono figure che realizzano lavorazioni complesse, che sono alla base della meccanica bergamasca», spiega Giovanni Grazioli, titolare della Grazioli Angelo & Fratelli di Fara Gera d’Adda e presidente del Centro di formazione Enfapi di Treviglio. È lui a spiegare che quella del fresatore, oggi, è un figura professionale sempre più fluida, spesso sovrapposta a quella dell’attrezzista o del tornitore, dedita a lavorazioni complesse dell’acciaio che hanno una miriade di applicazioni possibili: stampi, componenti per l’automotive o per l’aerospaziale, parti per il medicale e tanto altro ancora. «Nella mia azienda facciamo una media di quattro colloqui a settimana, mentre nei due corsi di operatori tecnici che teniamo a Treviglio, formiamo circa 50 ragazzi l’anno, ma a volte le aziende sono così in difficoltà che li vorrebbero assumere ancora prima della fine della formazione», afferma Grazioli, misurando il polso a una figura professionale per la quale, senza esagerare, la Bergamasca sta cercando di evitare l’estinzione. È sempre l’imprenditore a raccontare come si sia arrivati a questa situazione: «È una carenza endemica che nasce a fine anni Novanta con la fuga dalle scuole tecniche e, se vogliamo, giustificata o comunque incentivata dalla crisi dei settori industriali del 2006 e 2008 che ha portato a una riduzione della richiesta di manodopera nelle imprese meccaniche. Poi, nel 2011 e 2012, con l’inizio della ripresa, il buco formativo era ormai evidente e quando servivano non si trovavano più».
«Simili a ingegneri»
Che la nascita del problema vada cercata lontano ne è convinto anche Luca Nieri, segretario generale della Fim-Cisl di Bergamo, sindacato che monitora il fenomeno anche attraverso lo Ial, il proprio centro per la formazione continua. «C’è sicuramente una questione culturale delle famiglie che preferiscono avere il figlio ingegnere piuttosto che operaio, c’è un problema di preparazione scolastica e di mancanza di formazione continua per una figura che non è più quella di 30 anni fa e c’è un problema di racconto di queste figure professionali che chiamiamo operai specializzati, ma che sono sempre più simili a ingegneri». Anzi «nelle grandi aziende questi sono ruoli ricoperti da ingegneri». Per questo, sempre più realtà industriali ampliano lo sguardo, andando a formare quarantenni, oltre che giovani e, sottolinea Nieri, «anche stranieri». Oggi, infatti, «in buona parte i saldatori arrivano da altri Paesi e la prospettiva è che sempre più queste opportunità di lavoro vadano a chi le sa cogliere anche da fuori Italia».
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