La Russia troverà un’Europa cambiata

La giornata di lunedì 28 febbraio, sul fronte Russia-Ucraina, ha avuto dei toni a tratti paradossali. È stato come se la crisi si fosse divisa in tre tronconi che non comunicavano tra loro. Il più seguito era quello dell’incontro tra una delegazione russa e una delegazione ucraina sul territorio della Bielorussia. I due Paesi erano rappresentati da personaggi di non primissimo piano ma abbastanza autorevoli da non dare l’idea di un appuntamento solo rituale.

La stessa durata dell’incontro veniva spiata come un segnale importante: se breve, da indurre al pessimismo. Invece sono passate molte ore e sia i russi sia gli ucraini, che si apprestavano a tornare nelle loro capitali per consultazioni, ammettevano di aver trovato dei punti su cui si poteva pensare di dialogare.

Un buon segno, dunque. Nel frattempo, però, sul campo si continuava a sparare, e quindi a morire. Il porto ucraino di Mariupol’ stava per essere accerchiato dalle forze russe che, intanto, bombardavano la capitale Kiev. E nel grosso centro industriale di Khar’kiv, non lontano dal confine con la Russia, cadevano missili russi che, secondo le fonti ucraine, facevano decine di vittime civili. E poi c’era il terzo troncone della crisi, quello provocato dalle sanzioni che tutto l’Occidente ha scaricato sulla Russia in seguito all’invasione. Il crollo del rublo, la corsa dei russi a comprare valuta estera, il tasso d’interesse portato al 20%, il decreto che obbliga gli esportatori a comprare rubli per l’80% dei loro incassi, le riunioni dei ministri per frenare il crollo dell’economia, l’isolamento internazionale di un grande Paese che ora, dallo sport alla musica, dai voli aerei alle spedizioni postali, si sente precipitato nel ruolo del paria. Una condizione che ovviamente non piace ai russi, già contrari alla guerra, che scendono in piazza per protestare. Il che accentua la stretta dello Stato di polizia, che a sua volta inasprisce il sentimento popolare. E anche tra i privilegiati, oligarchi o no, sembra crescere il disagio. Anche perché loro hanno molti strumenti per valutare il contesto internazionale. Vedono che la Germania rompe un tabù e arma l’Ucraina, Svizzera e Svezia abbandonano la politica di neutralità, persino la Cina si affianca alla Russia quando serve per dar contro agli Usa ma si tiene a molta distanza dalla guerra contro l’Ucraina, di cui è primo partner commerciale, e traggono le debite conseguenze.

Molto dipenderà, ovviamente, dalle trattative, sempre ammesso che Russia e Ucraina riescano a procedere sulla via della diplomazia. E anche qui, mentre cresce la conta dei morti, non possiamo evitare un senso di assurdo. Sembra, dalle prime indiscrezioni, che la Russia chieda la garanzia che l’Ucraina resterà neutrale (cioè, non entrerà nella Nato) e che la Crimea resterà russa. C’è da sperare che il discorso, dall’una e dall’altra parte, sia più articolato di così e punti a un riassetto più generoso dei rapporti tra Russia e Ucraina. Che sono nazioni sorelle e lo saranno sempre, per quanti ostacoli la politica possa creare. E che in ogni caso dovranno convivere, parlarsi, produrre insieme, come un confine comune di 1.560 chilometri impone. Perché di neutralità e di Crimea si è parlato per mesi, i temi sono sempre stati quelli, e l’idea che sia dovuta morire tanta gente, e altra ne possa ancora morire, per riparlarne in modo più risolutivo è quasi insopportabile.

C’è ancora un tema sul tappeto, ed è forse quello più analizzato nelle cancellerie occidentali. È la caduta di Vladimir Putin, che i Paesi anglosassoni auspicano apertamente, altri più cautamente, e che è l’obiettivo finale delle sanzioni, mai così pesanti verso alcuno nella storia contemporanea. Può succedere? L’ipotesi è sul tavolo, le crepe al Cremlino si sono viste, anche se per ora sono contenute. Certo è, qualunque cosa accada, che Putin o chi per lui si troverà di fronte un’Europa molto cambiata, meno neutrale, più determinata a spendere per la Difesa e mai come ora vicina a dotarsi di un esercito proprio. È l’effetto del nemico alle porte e durerà anche quando la guerra in Ucraina sarà finita.

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