La tattica dello «zar», un passo alla volta

La Germania blocca la procedura per autorizzare il funzionamento del gasdotto Nord Stream 2? Da Mosca Dmitriy Medvedev, già presidente e primo ministro e ora vice-segretario del Consiglio di Sicurezza russo, risponde con sarcasmo: «Diamo agli europei il benvenuto nel nuovo mondo, quello in cui mille metri cubi di gas costeranno duemila dollari». Joe Biden da Washington parla di «invasione» e annuncia nuove pesanti sanzioni contro la Russia. E allora Dmitriy Peskov, portavoce del Cremlino, replica che Vladimir Putin non ha seguito il discorso del presidente Usa perché «aveva una riunione».

In altre parole, il muro contro muro prosegue. E se l’Occidente a trazione americana sfoggia compattezza e solidarietà con l’Ucraina, la Russia insiste nella tattica che ha seguito finora: fare un passo e, intanto, far capire quale potrebbe essere il prossimo, ancora più lungo. Lo si è visto bene con il riconoscimento delle due Repubbliche del Donbass da parte della Russia: la decisione finale di Putin è stata preceduta da una lunga serie di pronunciamenti di politici minori, dichiarazioni di personaggi di medio calibro, istanze di partiti, appelli di movimenti che avevano il compito di preparare il terreno e di far capire (agli Usa e all’Europa) che cosa sarebbe ancora potuto succedere. A riconoscimento avvenuto, ecco il «trucco» successivo. Donetsk e Lugansk, le Repubbliche appena riconosciute, pretendono di estendere la propria autorità su tutto il territorio delle corrispondenti regioni, che però sono ancora in parte sotto il controllo del governo di Kiev. Ed ecco i primi politici russi che dicono: bisognerà parlarne, non adesso ma più avanti il problema andrà risolto, e così via. Fanno intravvedere, quindi, l’ipotesi di un’ulteriore espansione della presenza russa in Ucraina. E quella sì che sarebbe un’invasione.

Usa ed Europa, dicevamo, mostrano coesione nel condannare la Russia e giudicano indispensabile reagire con le sanzioni. Anche perché Biden, a nome di tutti, dice che sarà difeso con le armi «ogni centimetro di territorio della Nato», quindi non l’Ucraina che nella Nato non è, quindi nessuno andrà a combattere per lei. Ma le sanzioni sono a loro volta questione complicata. Pare, ad esempio, che sia stato proprio il nostro Mario Draghi a far notare che colpire il settore energetico russo, in un’Europa che dipende dal gas russo per il 41% dei propri consumi, sarebbe stato un atto di vero masochismo. Così la Germania ha chiuso un gasdotto che non era mai stato aperto, e l’attenzione si è rivolta alle banche e alle finanzarie russe, come pure agli oligarchi che hanno investito nei nostri Paesi.

Sono provvedimenti destinati a impattare su un’economia russa che, pur godendo di un certo equilibrio, non è certamente in grande spolvero. Nel 2021 la stagnazione economica si è unita alla contrazione generata dal Covid per produrre un rialzo importante del costo della vita: più 10-12% per i generi alimentari di base, più 25% per automobili e affitti nelle grandi città. E redditi reali giù di circa il 10%. E sono provvedimenti che erano ovviamente previsti dal Cremlino. Eppure Putin tira dritto, anzi detta le proprie condizioni. Ieri, nella conferenza stampa successiva all’incontro con il presidente azero Ilham Aliev, le ha scandite: l’Ucraina rinunci alla Nato (l’ingresso nell’Alleanza è addirittura inscritto nella Costituzione ucraina), resti neutrale e riconosca che la Crimea è Russia.

Sono passi che l’Ucraina non farà mai, e anche questo è ben chiaro a Putin. Quindi, qual è il piano del Cremlino? I vertici russi non solo pensano di resistere alla massiccia reazione internazionale ma anche di poter tenere alta la tensione a tempo indefinito? Di alzare pian piano l’asticella, rendendola alla fine insuperabile, senza pagare un dazio così pesante da mettere a rischio la stabilità della stessa Russia e, anche, la sopravvivenza degli assetti e dei gruppi che la governano da un ventennio?

I prossimi giorni ci faranno capire di più. Se la Russia si fermerà dopo essersi presa il Donbass ucraino (perché di annessione si tratta, inutile usare mezzi termini), la diplomazia tornerà al lavoro. Ma qualcuno dovrà fare concessioni pesanti, e la prima indiziata è l’Ucraina. Altrimenti…

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