«Immagine aziendale per la Gen Z?
Il primo passo è smettere di fingere»

CAPITALE UMANO. In esclusiva per l’Osservatorio Delta Index, Federica Romagna, Career coach e Top Voice LinkedIn: «I giovani non cercano imprese perfette, ma vere. Il brand attira, alla fine però è la coerenza che trattiene i ragazzi»

Parte oggi una nuova collaborazione con Federica Romagna, Career e mental coach tra le più seguite in Italia e Top Voice LinkedIn. A lei l’Osservatorio Delta Index ha chiesto di raccontare, in una serie di puntate, il cuore delle relazioni tra aziende e nuove generazioni. Un cuore che, per Delta Index, si fonda su quattro pilastri: attrarre, selezionare, formare, trattenere. In questa prima tappa, dedicata all’«attrarre», Romagna attinge alle centinaia di storie vere che incontra ogni anno nel suo lavoro con giovani e professionisti, portando in superficie il punto di vista di chi cerca un luogo in cui lavorare e vivere. Perché sì, i ragazzi oggi cercano un luogo dove vivere, non solo dove lavorare.

No alla facciata patinata

«L’immagine attira, ma è la coerenza che trattiene» dice Romagna, e la frase sembra già racchiudere la chiave per ripensare davvero l’attrattività aziendale. Le nuove generazioni, spiega, non si lasciano sedurre da frasi ad effetto o promesse vaghe: cercano autenticità. «Per attrarre giovani oggi, non basta mostrare un’immagine patinata su LinkedIn. Serve verità. E serve rispetto: del tempo, della persona, dei suoi valori».

L’errore più diffuso delle aziende? Raccontarsi come pensano di dover essere, invece che come sono davvero. «Il problema non è il cambiamento, è la paura di guardarsi allo specchio. Eppure – continua Romagna – i ragazzi capiscono subito se l’azienda è autentica oppure no. Basta il primo colloquio per percepire il clima, l’apertura, il linguaggio».

La flessibilità non è svogliatezza

Ma cosa significa «attrattività» per un under 30 che oggi si affaccia al mondo del lavoro? Romagna è netta: «La prima cosa che cercano è equilibrio. Vogliono lavorare, ma vogliono anche vivere. Non è disimpegno, è lucidità. Le aziende devono smettere di leggere la richiesta di flessibilità come svogliatezza. È un bisogno legittimo, legato alla qualità della vita». E in un tempo in cui la cultura dell’equilibrio è spesso etichettata come fragilità, Romagna rilancia un’idea coraggiosa: «Il benessere non è un lusso, è un fattore strategico. Le aziende che non mettono le persone nelle condizioni di stare bene, prima o poi, perdono i talenti. Anche quelli più motivati. Perché se non dai senso, i ragazzi se ne vanno».

Molte testimonianze che raccoglie nel suo lavoro raccontano proprio questa frattura tra immagine e realtà. «Giovani entrati in aziende che promettevano dinamismo, crescita, flessibilità… e poi si ritrovano in contesti ingessati, pieni di burocrazia e controllo. Perdere tempo con promesse non mantenute è il modo più rapido per perdere reputazione».

Il punto è che spesso l’attrattività non viene costruita in modo strategico. Gli annunci di lavoro, per esempio, rappresentano la prima occasione di contatto. Ma «sono spesso generici, rigidi, irrealistici. Un neolaureato con cinque anni di esperienza? Un addetto alla segreteria cercato come “persona dinamica multitasking multitutto”?». L’ironia di Romagna non nasconde la frustrazione che le arriva dai candidati. «Basterebbe poco per fare meglio: linguaggio chiaro, inclusivo, ruoli ben descritti, valori dichiarati. E invece…».

Sui social troppo autoreferenziali

Anche sui social, canale centrale secondo l’Osservatorio Delta Index per intercettare la Gen Z, molte aziende sono presenti ma non autentiche. «Parlano di sé in modo autoreferenziale, istituzionale, freddo. Non dialogano. E invece i giovani vogliono storie vere, volti veri, contenuti che raccontino la quotidianità del lavoro, anche le difficoltà, non solo i premi ricevuti».

Il silenzio devastante

Romagna mette l’accento anche sul valore del feedback nei processi di selezione. «Il silenzio dopo un colloquio è devastante. Ai giovani non interessa solo sapere se sono stati scelti. Vogliono capire cosa migliorare. Un’azienda che dà feedback, anche negativo, dimostra rispetto». E aggiunge: «Siamo abituati a pensare che basti offrire uno stipendio per attrarre. Ma oggi non è più così. I ragazzi si informano, si confrontano, leggono le recensioni su Glassdoor. L’esperienza reale vale più di qualsiasi brochure aziendale».

L’attrattività parte dalla scuola

C’è poi un altro aspetto poco considerato: il rapporto tra scuola e impresa. «Troppe aziende si lamentano della mancanza di candidati adatti, ma non fanno nulla per farsi conoscere durante il percorso scolastico. Collaborare con gli istituti, accogliere studenti, raccontarsi nei contesti educativi: è lì che nasce l’interesse». Anche su questo Delta Index insiste da tempo, con dati e analisi. E Romagna lo conferma: «Quando un ragazzo entra in contatto con un’azienda durante gli studi, quella realtà gli resta impressa. L’attrattività parte da lì, da un ricordo positivo».

Chiarezza sulla retribuzione

Infine, un monito importante: «Attenzione a come si legge la sicurezza di questi giovani. Il fatto che sappiano cosa vogliono non significa che siano arroganti. Anzi, spesso sono solo più consapevoli di ciò che non vogliono. E pretendono chiarezza, anche sui temi tabù come la retribuzione». Secondo Romagna, la nuova normativa sulla trasparenza salariale aiuterà a superare reticenze che non hanno più senso. «I giovani non si scandalizzano a parlare di soldi. Si scandalizzano se non si può parlarne».

Per approfondire il tema del rapporto tra AZIENDE e GENERAZIONE Z collegarsi al sito dell’Osservatorio Delta Index

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