Quando il controllo soffoca i giovani
l’impresa ha già perso la sua partita

CAPITALE UMANO. La difficoltà a trattenere i giovani. Ciò che li allontana non è la fatica, ma l’assenza di prospettiva. Coach Romagna, Top Voice LinkedIn che collabora con Delta Index: «Se sentono di non poter crescere, se ne vanno»

Ci sono ragazzi e ragazze che quando parlano dei loro primi impieghi - ma capita anche più avanti nell’età - usano sempre le stesse parole: «Mi controllano». «Non mi lasciano autonomia».«Non posso mettere nulla di mio». Non raccontano straordinari infiniti o turni massacranti - anche se esistono - ma qualcosa che tocca un livello più profondo: il senso di essere osservati, incasellati, trattenuti dentro un ruolo che non si può espandere. È in quel momento che la relazione con l’azienda inizia a incrinarsi.

Federica Romagna, Top Voice LinkedIn che collabora con l’Osservatorio Delta Index , lo verifica spesso nella sua attività di career e mental coach. «Il nodo è il controllo - spiega -. Abbiamo un modello di leadership basato sulla cultura del fare, non dello sviluppare. Il manager teme di perdere potere se concede flessibilità e responsabilizzazione. La vede come un rischio, non come un’opportunità». Il risultato è un clima che la Generazione Z percepisce immediatamente: un ambiente rigido, poco dinamico, dove i processi non si toccano e le mansioni restano identiche a se stesse per anni. «Il giovane sente di non poter crescere e se ne va».

La sensazione: «Tenuti fermi»

Il clima aziendale, per i ragazzi, è più di una «condizione». È il filtro attraverso cui leggono ogni gesto, ogni riunione, ogni feedback. «Mi capita di sentire ragazzi che dicono: me ne voglio andare perché il mio capo mi controlla a vista, perché non mi lascia margini, perché non posso sperimentare» racconta Romagna.

Alla fatica quotidiana si aggiunge la percezione di un futuro bloccato. «Ancora troppi giovani mi dicono: sono fermo, faccio le stesse cose da mesi. Il primo anno passa, il secondo anche, e nulla si muove. A quel punto iniziano a chiedersi perché dovrebbero restare». Dietro queste frasi, c’è l’assenza di strumenti elementari: piani di carriera chiari, passaggi di ruolo comprensibili, competenze richieste spiegate in modo esplicito. In molte realtà le career ladder non esistono, in altre esistono ma non vengono comunicate. «Tutti desideriamo crescere, non solo la Z - sottolinea Romagna -. Ma servono competenze per costruire percorsi credibili. E molte Pmi non le hanno. In quei casi è utile affidarsi a consulenti esterni che sappiano leggere organizzazione, ruoli e persone».

Fondamentale l’onboarding

Un altro nodo cruciale è il modo in cui si accoglie un giovane. «L’onboarding non è metterlo vicino al senior per cinque telefonate e poi lasciarlo da solo» spiega Romagna. «Un ingresso fatto male genera ansia, isolamento, scarsa produttività e soprattutto un turnover precoce. I primi giorni sono la fase dell’innamoramento: se non funziona lì, difficilmente funzionerà dopo». Un buon onboarding dà strumenti, obiettivi, riferimenti. Un cattivo onboarding lascia smarrimento. «E se ti senti smarrito nei primi giorni, cerchi un’altra strada il prima possibile». Accanto all’onboarding c’è la formazione continua, spesso ridotta ai soli corsi obbligatori. «La formazione deve far crescere nel ruolo e come persona. Altrimenti diventa un adempimento vuoto». Non è un caso che nel Delta Index molte aziende, dopo l’assessment, rivedano le proprie priorità: iniziano pensando che il problema sia attrarre, finiscono comprendendo che senza formare non si trattiene.

Flessibilità e organizzazione

Quando si parla di work-life balance, le aziende presentano spesso la flessibilità come un benefit, alla stregua di un buono pasto. La Gen Z la legge diversamente: come un elemento strutturale dell’organizzazione, un segno di fiducia. «Il problema è che molte imprese sono ancora ferme alla cultura per cui presenza fisica significa produttività - osserva Romagna -. E il controllo diventa il modo per garantire la presenza. In alcuni casi c’è chi racconta addirittura di pratiche estreme: monitoraggio dei computer, software che registrano lo schermo, telecamere puntate sulle postazioni. Sono strumenti che non solo violano la legge, ma distruggono la relazione. Negano i cambiamenti sociali e tecnologici in corso. E chi li subisce, se può, se ne va». Anche lo straordinario sistematico è un segnale di disorganizzazione. «Non è un indicatore di dedizione: è un sintomo. Può voler dire carichi eccessivi o un modello per obiettivi inesistente. E i ragazzi lo capiscono subito».

Merito, retribuzioni e feedback

Il tema economico non è affatto secondario. «Si dice che ai giovani non importi lo stipendio, ma è falso - chiarisce Romagna -. Importa eccome: non è più l’unico parametro, ma è parte della loro possibilità di vivere».

A pesare è anche l’assenza di sistemi premianti equi. «L’idea per cui seniority uguale competenza non regge più. La Z porta contributi preziosi, con competenze aggiornate e sensibilità nuove. Ma se non vengono riconosciuti, il messaggio è: qui non c’è spazio per te». La mancanza di feedback è un problema altrettanto grave. «Capita che un giovane creda di aver raggiunto gli obiettivi, poi scopre dopo 12 mesi che non era così. Nessuno glielo aveva detto prima. È profondamente ingiusto, e genera sfiducia».

Decisioni calate dall’alto

Un altro punto cieco è la comunicazione interna. «Le decisioni arrivano come annunci dall’alto, senza spiegazioni - dice Romagna -. Questo alimenta una percezione autoritaria: io decido, tu esegui». Ma il coinvolgimento non richiede potere decisionale: richiede contesto. «Se un’azienda spiega perché sta prendendo una decisione, permette alle persone di valutare se quella strada è anche la loro. È un gesto di rispetto, non un cedimento».

La prima cosa da fare

Alla fine, una domanda: qual è la prima leva per trattenere un giovane? Romagna non ha dubbi: «La trasparenza. Dire cosa l’azienda può offrire, quali sono i percorsi, quali promesse può mantenere e quali no. E spiegare il perché, quando qualcosa cambia».

Per approfondire il tema del rapporto tra AZIENDE e GENERAZIONE Z collegarsi al sito dell’Osservatorio Delta Index e di Skillherz

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