Imparare dall’handicap
Il dolore apre alla poesia

Prima o poi capita a tutti di avere a che fare con quel «rumore di fondo» che è il dolore. È facile capire che «i meccanismi del mondo non girano per tutti ben oleati». La sfida vera, durissima, è trasformare la sofferenza in bellezza: Valeria Parrella ci riesce con «Tempo di imparare» (Einaudi).

Prima o poi capita a tutti di avere a che fare con quel «rumore di fondo» che è il dolore. È facile capire che «i meccanismi del mondo non girano per tutti ben oleati». La sfida vera, durissima, è trasformare la sofferenza in bellezza: Valeria Parrella ci riesce con «Tempo di imparare» (Einaudi).

È la storia di una madre e di un figlio disabile, Arturo. Ma la trama, in fondo, è importante fino a un certo punto: a vibrare, in questo romanzo, è la vita, così forte che vince tutto, declinata nelle sue curvature più profonde, quelle per cui occorre, per forza, ricorrere alla poesia.

Sullo sfondo c’è Napoli, bagnata dal mare, e c’è un sottofondo di forte denuncia sociale, per la mancanza d’ascolto e la disattenzione colpevole che gran parte del mondo riserva ai più fragili. Ma nel romanzo della Parrella l’handicap diventa un seme che si avvolge nel cotone bagnato e poi si aspetta per vedere cosa germoglierà. Col tempo diventa un albero che contiene molte altre parole, con una ricchezza insospettata. «Così impariamo che ciò che per gli altri è normale, per noi è bellissimo». Sul percorso mille ostacoli: le peregrinazioni negli ospedali, l’incontro con tante figure diverse: psicomotricisti, logopedisti, oculisti, neuropsichiatri, maestre di sostegno. E mille ansie per il futuro, mille interrogativi. Altri genitori coraggiosi calano in mare scialuppe di salvataggio per attraversare la tempesta insieme: «Siamo quella disperazione che impariamo a nominare perché non vinca, siamo quelle spade attraversate».

Il romanzo è come una fiaba, come un distillato di poesia. Parla d’amore, di coraggio, di speranza, di amicizia. Segue un percorso difficile, di conoscenza, di scavo interiore, spinto fino all’estremo, fino a capire e a sciogliere la rabbia primitiva che cova in fondo. «Tu per me sei così, figlio – scrive la Parrella –: io imparo a esistere senza accorgermene mentre tu vivi… Posso ricordare, se mi ci metto, tutto un canto della “Commedia”. Ma quello che ho imparato da te, quando lo ho imparato?». Il bello di questo romanzo è che non finisce nelle sue 136 pagine: lascia una scia di luce, e qualche parola che ci accompagna ancora, e ci sembra di non poter chiedere di più.

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