
Missione Bergamo / Bergamo Città
Martedì 08 Aprile 2025
Precarietà e paura del Covid hanno cambiato i valori
Dopo la pandemia, a Bergamo il lavoro resta centrale ma non vincolante: emerge una nuova essenzialità, che ridefinisce spazi di vita, relazioni e legame col territorio.
Bergamo
Il lavoro a Bergamo è cambiato dopo la pandemia? Anche su questo focus si è concentrato Missione Bergamo. «Dalle interviste fatte c’è stato un cambiamento. È emerso che il lavoro resta importante nella realizzazione personale, ma le scelte di vita non sono più vincolate da esso. È più il contrario: il lavoro resta importante, ma in un’ottica di nuovo significato», spiega Stefano Tomelleri, professore di Innovazione e Ricerca Sociale dell’Università di Bergamo e Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia. Sulla stessa linea è Francesco Seghezzi, presidente dell’Associazione Adapt che, in fase di restituzione degli esiti dell’indagine, ha commentato i risultati. «Il Covid ha amplificato una situazione già in essere. Per alcuni ciò che abbiamo vissuto è stato un inferno, come per gli operatori sanitari e i lavoratori della logistica e della Gdo. Per altri è stata una liberazione dalla frenesia, capendo che, forse, si stava correndo troppo e bisognava fermarsi», ha fatto presente Seghezzi.
Ciò che è risultato comune nelle interviste raccolte è che la pandemia ha cambiato la scala dei valori. «Cambiando l’aspetto valoriale si sono modificati i bisogni. Ora al lavoro si cerca più di prima la dimensione del significato», ha aggiunto il presidente di Adapt. Come può, allora, il mondo del lavoro rispondere a queste neonate richieste? «Si pensava che lo smart working fosse una soluzione, ma abbiamo visto come abbia migliorato sì i tempi, ma non gli spazi. Bisogna ora fare rete per aiutare le aziende, specialmente quelle più piccole, ad adattarsi alle nuove linee valoriali», ha detto Seghezzi. Per la consulente del lavoro Laura Ferrari, tra i protagonisti della trasmissione in onda su Bergamo TV, «il Covid è stato un acceleratore di consapevolezza. La precarietà e la paura portano a rivedere le priorità. Sono specie gli uomini ad aver capito che bisogna avere tempo per altro oltre che per il lavoro».
Liberarsi dal lavoro per resistere al «burnout»
La pandemia ha portato i bergamaschi a ricercare «una nuova essenzialità». A confermarlo è il filosofo e professore ordinario di Teorie della Comunicazione e Antropologia religiosa e media dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Silvano Petrosino, che è intervenuto all’interno dello speciale televisivo di Missione Bergamo con un focus sul concetto di «vita buona» e uno sguardo più maturo sul nostro stare al mondo.
L’indagine sociologia ha infatti favorito una discussione collettiva sul futuro della nostra società, a partire dalla qualità della vita che si intende costruire e da un’idea di bene comune che punta all’essenziale. Perché il futuro, come ha dimostrato il percorso voluto da L’Eco di Bergamo in sinergia con l’Università di Bergamo, ci chiede un modello di sviluppo più sobrio e responsabile.
«Io penso che ora, dopo la pandemia, la nostra esperienza sia più interessante e ricca. Dai risultati della ricerca – sottolinea Petrosino – trovo infatti interessanti alcune questioni. Rispetto al tema del lavoro, è emersa una tendenza generale che non riguarda solo Bergamo, ma tutto il Paese. Si inizia a riflettere che non esiste soltanto lo stipendio, ma che ci sono anche le relazioni e del tempo libero da vivere per tentare di resistere al soffocamento e al burnout lavorativo».
«Un altro elemento – prosegue il filosofo – riguarda il tema della religione. Le esperienze tragiche costringono l’uomo a prestare attenzione all’essenziale: condizioni come la guerra o un’epidemia appunto ci riportano infatti a una fede che spesso noi diamo per scontato. La vicenda del Covid mi sembra che abbia quindi dato uno sguardo più maturo alla nostra vita».
Dalle interviste realizzate sono infatti emersi elementi di speranza e di cambiamento positivo. «Il cambiamento – conferma il prof. Stefano Tomelleri – porta le persone non solo a vedere una dimensione cupa, ma anche a riflettere sul concetto di essenziale: cosa voglio portare nel nuovo mondo e nel nuovo futuro? È a questo punto che abbandoniamo le cose superficiale ed entriamo nel profondo di ciò che conta davvero, facendo delle scelte responsabili che avranno delle conseguenze».
Condividere con chi ci sta vicino ci rende più felici
Interrogarci sui cambiamenti territoriali di questi ultimi anni significa interrogarci anche su come è cambiato il nostro modo di stare sui territori e su come stiamo riorganizzando i nostri spazi di vita. E quanto emerge dalla ricerca di Missione Bergamo è una maggiore attenzione al concetto di prossimità. «Questo significa ragionare sul contesto nel quale si vive e recuperare una dimensione dell’abitare che sia attenta alla dimensione del vicinato, delle relazioni interpersonali e dei servizi che la città offre, recuperando una qualità dell’ambiente che ci circonda», precisa il professore associato di Pianificazione e Progettazione urbanistica e territoriale dell’Università di Bergamo Fulvio Adobati.
La pandemia ha dato una spinta notevole alla transizione digitale e, in particolare, allo smart working che consente infatti di vivere e di lavorare sui territori con maggiore flessibilità. «Chi lavora con il telelavoro – precisa Adobati – ha maggiori libertà di scelta dell’abitazione rispetto alla sede di lavoro. Inoltre, questo consente alle persone di organizzare il proprio spazio di vita familiare e le necessità connesse alla famiglia in modo diverso, riequilibrando i tempi di vita e lo spazio nella città del cosiddetto “quarto d’ora”».
I bisogni delle famiglie, del mondo del lavoro e del vivere con gli altri, del resto, devono essere collocati in uno spazio fisico. E questo sta producendo delle trasformazioni anche nel contesto bergamasco. «Il tutto è legato a un’idea dell’abitare fortemente collegata a un modo individualistico di concepire la vita comune – conclude il professor Tomelleri –. Quello che abbiamo scoperto con Missione Bergamo è la riscoperta del concetto di solidarietà, molto vicino al concetto di prossimità espresso dal professor Adobati. Abbiamo capito quanto può essere piacevole sentire l’aiuto di chi ti è vicino e quanto sia importante la solidarietà nel mostro modo di esprimere il rapporto con gli altri. E quindi abbiamo compreso che l’individualismo non è la piena realizzazione della persona: questo ci obbliga a pensare l’abitare e gli spazi urbani in modo nuovo, magari più aperti e favorenti il rapporto con l’altro. L’esempio è quello relativo a molte persone che si sono scoperte sole e senza una conoscenza dei loro vicini. Tutto questo ha portato a ripensare il rapporto con il vicino e a capire l’importanza di conoscere chi vive accanto a noi, con conseguenze proprio sull’idea di sviluppo della geografia della città».
Vogliamo una città viva e solidale fatta di spazi comuni. Una delle eredità è dunque proprio la voglia di stare bene insieme condividendo momenti di condivisione spontanea.
Puoi rivedere qui la trasmissione andata in onda su Bergamo tv domenica 6 aprile.
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