E se gli angeli parlassero il dialetto bergamasco?

Non è solo un modo di parlare, ma un bagaglio di memoria e identità. Tra aneddoti e personaggi del folklore orobico, immaginiamo il dialetto bergamasco arrivare fin lassù, con un sorriso che unisce terra e cielo.

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Di certo buona parte dei personaggi che raccontiamo in queste pagine avranno bussato alle porte del Paradiso con un cortese «Pöde?». «Al vègne!», potrebbe aver risposto l’angelo-interprete, assistente di San Pietro.

Una battuta del genere starebbe benissimo raccontata attorno a un tavolo con Peter Barcella e Aldo Secomandi, papà del foklore orobico. Ma non stonerebbe nemmeno la presenza di Battistina Viganò, che dialogava con i suoi anziani, o di Nino Martino, che da politico la gente la conosceva davvero. Non da ultimo, di certo avrà chiesto permesso in dialetto anche il soldato Eusebio e l’angelo gli avrà aperto con un sorriso dicendo «Al vègne!».

Peter Barcella: cantò la «dance» nel nostro dialetto

«Ciao Peter...sa to ’ncuntret i angei cantega argot in bergamasch» (Ciao Peter, se incontri gli angeli cantagli qualcosa in bergamasco, ndr): furono queste le parole scritte dal Bepi per ricordare l’amico Peter Barcella.

Conosciuto da tutti per la sua allegria e simpatia, il cantante e musicista orobico si è spegneva improvvisamente nel febbraio 2012 a Nembro. Classe 1952, lasciava tanti amici nel mondo della musica e dello sport. A Peter il merito di aver diffuso la musica «made in Bergamo» a livello nazionale, soprattutto durante gli anni ’80 e nei primi anni ‘90 quando portò il dialetto bergamasco in tutte le radio d’Italia con la canzone a metà tra la dance e il rap folcloristico «He l’è hoeu l’è hoeu» (Se è su è su). Il “tamburino” di Nembro, così come era conosciuto ai tempi della banda del paese dove per 20 anni suonò il tamburino sulle orme del padre Mario, è stato tra i pionieri della musica in dialetto: insieme ai Chiodi, a Luciano Ravasio, al Bepi e a tanti altri amici ha partecipato anche alla compilation «Bù come ‘l pà», album che raccoglie il meglio di 50 anni di musica bergamasca.

Mezzo secolo nel quale anche Barcella ha lasciato il segno: dal suo primo gruppo «I figli dei fiori» all’incontro con Alberto Carrara che lo lanciò nel mondo della dance italiana. Con i «Meccano» è stato poi a Sanremo ’85 e al Festivalbar ’86, ma fu coi «Papillon» che fece il salto, andando in tour al di là delle Alpi e Oltreoceano. Nei primi anni ’90 il sodalizio con il dialetto bergamasco che ha reso la sua voce blues, da vero cowboy orobico, punto di partenza di tanti successi radiofonici, coronati nel disco «Zo le brachee» poi con il suo ultimo lavoro «Tir in tour» del 2006. Musicista di professione, con qualche esperienza nel mondo della ristorazione e della gestione dei locali, Barcella era noto anche in ambito sportivo, soprattutto in quella «Berghem Soccer Team» capitanata da Serse Pedretti con cui spesso prendeva parte a iniziative e partite di beneficenza. E proprio insieme a tanti amici del mondo sportivo Barcella aveva trascorso la sua ultima serata, come raccontò l’amico Pedretti: «Eravamo tutti a cena e con Peter avevamo scritto le prime battute dell’inno della nostra squadra. Al resto, mi disse, ci avrebbe pensato lui: la sua idea era ovviamente quella di cantarlo in bergamasco».

M.O. | Archivio de L’Eco di Bergamo

Aldo Secomandi: uno dei «padri» del nostro folklore

Con Aldo Secomandi, presidente onorario della Fitp (Federazione italiana tradizioni popolari, di cui fu cofondatore) e «padre» del Gruppo folklorico Orobico di Bergamo, scompariva nel luglio 2016 una figura di primo piano dell’arte popolare e folklorica a livello locale e nazionale.

Secomandi, 87 anni, aveva una lunga carriera artistica alle spalle, cominciata nel 1959 con una serie di meticolose ricerche presso anziani pastori e contadini, dai quali si faceva raccontare abitudini, usanze e detti dialettali con l’obiettivo di tramandarli, in forma artistica, alle nuove generazioni e di divulgarli in Italia e nel mondo.

Dotato di sensibilità artistica particolare e di una radicata conoscenza musicale, Secomandi ha condotto con competenza e umanità il Gruppo Orobico, che considerava come una seconda famiglia. «Una persona gentile, affettuosa, signorile – ricordava sulle pagine de L’Eco di Bergamo l’amico Francesco Gatto, presidente del comitato provinciale Fitp di Bergamo – al di là magari di qualche momento di rigidità necessario per la gestione del gruppo. Lo ricordiamo soprattutto nei tanti momenti di serenità condivisi con i ragazzi del gruppo durante le numerose manifestazioni nazionali e internazionali».

Archivio de L’Eco di Bergamo

Luigi Eusebio Damiani: «quel campanile non lo rivedrò più»

Storie di guerra, della guerra di ieri che ha spento i sogni di tanti ragazzi. Erano gli anni Quaranta, gli anni tristi del richiamo alle armi. A Botta di Sedrina arrivò una cartolina intestata all’alpino artigliere Luigi Damiani, che in paese tutti conoscono come «Eusebio». I suoi vent’anni si sono fermati nella steppa russa. E lui se lo sentiva che dal fronte non sarebbe tornato: «Quel campanile lì, io non lo rivedrò più». Si era voltato a indicare la torre del suo paese al fratello Carlo, che aveva 12 anni e lo ascoltava col cuore in gola, mentre camminavano insieme lungo la strada che portava al treno, alla piccola stazione di Clanezzo.

Era il 1942. Tempo un anno e tramite un cappellano arrivò al Comune di Sedrina un telegramma: «Eusebio è morto». Era la Pasqua del 1943: il soldato Damiani era caduto il 26 gennaio. Nell’aprile del 1999 era di nuovo Pasqua ed erano passati 56 anni. Carlo, il ragazzo della stazione, ha appreso dov’è stato seppellito il fratello maggiore: hanno trovato la piastrina in un cimitero campale ungherese. «Hanno dissotterrato la salma - scrisse L’Eco - e la bara tornerà a Botta. I familiari, dicono i ben informati, saranno ad attenderla al casello autostradale di Bergamo fra le 11 e mezzogiorno. Arriverà da Roma, riportata in Italia grazie alle ricerche che da tempo ormai si stanno effettuando in Russia e negli altri Paesi dell’ex blocco sovietico».

Classe ‘31, muratore in pensione Carlo venne raggiunto anche dagli altri due fratelli, Giuseppe e Teresa per accompagnare l’alpino artigliere a Botta, nella chiesetta del cimitero. A rendere omaggio al caduto ci sono stati anche combattenti e i reduci. E in paese sono risuonati i rintocchi cupi di quelle campane che il soldato Damiani si era portato nel cuore. Correva l’anno ’42 un anno così lontano e così vicino.

Archivio de L’Eco di Bergamo

Nino Martino: politico di rango, ma per tutti era «il professore»

Nino Martino era per tutti «il professore» per via della sua intelligenza e capacità espresse in 40 anni di politica nell’Alto Sebino. Era arrivato a Lovere dalla Sicilia per insegnare matematica a ragioneria e, dopo pochi anni, era diventato preside delle scuole di Costa Volpino. «Il nostro prof»: così lo chiamavano i collaboratori e gli amici di partito, quella Democrazia Cristiana degli Anni Settanta dove Martino aveva trovato il luogo ideale per mettere in gioco la sua volontà e tutta la sua determinazione nell’essere utile alla gente.

«Era arrivato a Lovere da una regione lontana – raccontava sulle pagine del nostro giornale Claudio Contessi, ex presidente della Comunità montana dell’Alto Sebino e grande amico del professor Martino (“fino all’ultimo però – raccontava – ci siamo dati del lei, perché anche da qui passava il suo rispetto per le persone”) –, ma in poco tempo si era inserito benissimo nella vita amministrativa dell’Alto Sebino, perché la politica per lui equivaleva ad ascoltare le persone e aiutarle». Martino è stato il primo presidente del comitato di gestione della Usl 31 che, appena nata, doveva erogare i servizi sanitari per i cittadini di tutto il Sebino e gestire gli ospedali di Lovere e di Sarnico.

«Aveva un’intelligenza politica inarrivabile – ricordarono gli amici –: fu il precursore del dialogo fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista a Lovere, anticipando quel che succedeva a livello nazionale. Avrebbe potuto arrivare ad ogni livello, ma ha preferito restare nella sua comunità». Già, perché Martino alla politica si è sempre dato in maniera totalmente disinteressata. La sua auto la conoscevano tutti: una Fiat Panda azzurro-verde di quasi 20 anni. Martino ha percorso un lungo cammino amministrativo e politico all’interno della comunità sebina e ancora il suo ricordo, a distanza di 14 anni dalla morte, è vivo e fecondo.

G.A. | Archivio de L’Eco di Bergamo

Abele Briccoli: il presidentissimo del Club Pignolo

Una folla commossa salutava nel maggio 2005 Abele Briccoli, personaggio cittadino conosciuto e stimato per le grandi doti umane e la grande generosità nei confronti dei bisognosi. Per circa trent’anni era stato presidente del Club Ricreativo di Pignolo, portando con grande spirito di servizio e voglia di fare l’associazione fin quasi sulla soglia del centenario (è stata fondata nel 1907), con l’attività benefica sempre al centro delle molteplici attività. «Ha sempre collaborato generosamente anche con la parrocchia», ricordava monsignor Tarcisio Ferrari. Era stato anche titolare di un’azienda di modellismo meccanico con sede in Celadina. Il suo grande carisma, il suo entusiasmo e la sua generosità sono ancora oggi motivo di orgoglio per il quartiere di Pignolo.

Archivio de L’Eco di Bergamo

Battistina Viganò: alla sua memoria il premio «Rosa Camuna»

«Una vita dedicata al prossimo» è la definizione più appropriata per Battistina Viganò alla cui memoria è stato assegnato nel marzo 2000 il premio regionale Rosa Camuna 2000. Un riconoscimento prestigioso per una donna, scomparsa nel gennaio dell’anno precedente, che ha costituito un fulgido esempio per il mondo della solidarietà bergamasca. La sua attività di assistenza era cominciata a Calvenzano nella metà degli anni ‘50, prestando aiuto agli anziani soli. Un’esperienza che ha segnato la sua vita facendo maturare in lei una nuova e forte determinazione. Da quel momento la sua attività di assistenza si fece più organizzata. La vera svolta fu però rappresentata dall’istituzione della Casa Maria Immacolata che, al termine degli anni ’50 contava una decina di posti letto. La serietà e la dedizione della fondatrice vennero premiate e la struttura crebbe fino a diventare una casa di riposo. Le segnalazioni per l’assegnazione della Rosa Camuna a Battistina Viganò giunsero non solo da Calvenzano ma anche da Treviglio e da altri paesi della Bassa che hanno conosciuto la generosità di Battistina.

Archivio de L’Eco di Bergamo

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