
Ogni vita un racconto / Bergamo Città
Martedì 14 Ottobre 2025
Quando il lutto diventa digitale: il cuore che l’IA non può replicare
Tra social network che trasformano i profili in memoriali, chatbot che simulano i defunti e QR code sulle lapidi, il lutto entra nell’era dell’Intelligenza Artificiale. Ma nella memoria “ibrida” tra tecnologia e sentimento, resta una domanda: può davvero un algoritmo sostituire l’elaborazione del dolore umano?
Che cosa significa morire oggi, in un contesto ibrido in cui le tracce che lasciamo online continuano a vivere e a dire anche dopo di noi? La domanda è il filo conduttore dell’ultimo libro del filosofo e ricercatore Davide Sisto, «Vivere per sempre. L’aldilà ai tempi di ChatGpt» (ed. Bollati Boringhieri), uscito lo scorso 12 settembre.
Dal 2018, anno in cui lo studioso pubblicò «La morte si fa social», lo scenario digitale è cambiato vertiginosamente. Video, messaggi vocali, post sui social: ogni ricordo permane, si moltiplica e si riversa in archivi e piattaforme che non conoscono silenzi né interruzioni. L’onnipresenza dei dati trasforma il lutto e il modo in cui ricordiamo chi non c’è più, spingendoci a interpellare il confine tra vita biologica e presenza digitale. Piattaforme come Youtube e TikTok sono diventate spazi in cui si condividono le fasi del lutto, o il modo di vestirsi per il funerale del proprio caro estinto. Senza filtri né giudizi, queste pratiche riportano la morte tra i vivi. «Mai come oggi l’intelligenza artificiale, ma anche i semplici social media, da un punto di vista passivo ci stanno spingendo a ragionare su come rimanere presenti, in maniera sistematica e dirompente, una volta che siamo morti. Se biologicamente di fatto non ci siamo più, dal punto di vista sociale e digitale tendiamo a continuare a occupare quegli spazi del mondo che finora abbiamo occupato», spiega Sisto.
«Foreverismo»: il fenomeno del “per sempre”
Un concetto chiave è il «foreverismo». Il termine mutuato dal marketing da Grafton Tanner, esprime l’esasperato tentativo a preservare e mantenere vivi, i valori, le mode e i modi di pensare a cui siamo abituati.

Il «per sempre» diventa il modo di vivere prevalente che elimina la nostalgia, ovvero quello scomodo sentimento che smaschera l’assenza dei defunti nella vita di tutti i giorni. La nostalgia è infatti il cuore pulsante di tutta questa trasformazione: «Oggi ha una duplice faccia - spiega Sisto -. Da un lato è centrale nella cultura pop, dall’altro si cerca di eliminarla. Io credo invece che abbia un ruolo fondamentale nella consapevolezza della fine. Può diventare un punto di partenza importante per trasformare il disagio verso ciò che è finito in qualcosa di creativo. La musica, la letteratura e la poesia sono piene di esempi in tal senso».
Assistenti virtuali e nuove figure professionali
Dal canto loro, le tecnologie digitali e le IA, come i cosiddetti «tanabot», offrono la possibilità di interagire con chi non c’è più, ma lo fanno in modo rassicurante e positivo, quindi non autentico, riproducendo solo versioni edulcorate delle conversazioni con i nostri cari defunti, senza quegli elementi di cambiamento, se vogliamo anche contraddittori, come il sarcasmo e le sfumature che rendono unica ogni personalità.
La gestione dei dati post mortem ha anche favorito l’emergere di figure professionali come il «digital death educator» e il «digital legacy manager». «Un esperto con competenze centrate sul nostro rapporto con la morte e sulla relazione tra questa e la tecnologia può affiancare ospedali, famiglie e istituzioni nella gestione dell’eredità digitale - spiega Sisto-, aiutando i dolenti a comprendere l’impatto dei dati lasciati online e guidando giovani e adulti a capire che le tracce digitali sopravvivono e come gestirle».
Il fatto, poi, che i ricordi digitali siano a portata di mano, o più precisamente di smartphone, può essere un ostacolo all’elaborazione del lutto. Va bene consultare foto e messaggi, ma bisogna avere la forza di non rimanere imbrigliati in questa continua disponibilità tecnologica. «Ad un certo punto, si dovrebbe fare con i contenuti multimediali, come si fa con gli album di foto: li si può sfogliare ogni tanto, ma poi è opportuno chiuderli e riporli al loro posto».
La tecnologia ha portato all’ibridazione tra online e offline, come avviene con la nascita di app che digitalizzano i cimiteri. Piattaforme virtuali In Italia, ad esempio, la piattaforma «Aldilapp» permette di inviare fiori sulla lapide e di personalizzare la biografia del defunto. A queste tendenze si aggiunge la diffusione di Qr code sulle lapidi che, una volta inquadrati, consentono di accedere a luoghi online rappresentativi della vita del defunto, come blog, profili social, siti web, ecc. Quest’ultima tendenza risponde al bisogno di lasciare post mortem un segno permanente del significato della propria biografia del defunto.
Il messaggio è chiaro: i social, l’IA, i cimiteri digitali e i Qr code amplificano la nostra capacità di lasciare tracce, ma ciò che rende vivi i ricordi è la consapevolezza della loro fine. La vera eredità consiste nel mantenere vivo il legame con chi non c’è più, senza illuderci di poter sottrarre l’assenza al suo compito di dare forma alla vita.
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