Ogni vita un racconto / Bergamo Città
Lunedì 17 Novembre 2025
Una passeggiata tra le storie di famiglia
Un percorso tra memorie e volti bergamaschi: con lo sguardo appassionato di Rosella Ferrari scopriamo le storie di famiglia custodite tra le tombe e i racconti che hanno intrecciato la sua vita
Un tempo andare al cimitero era una prassi che non si svolgeva solo nei giorni dei morti o nelle ricorrenze, ma che faceva parte della quotidianità. Noi abitavamo in Città Alta e quando eravamo bambine scendevamo a piedi con mazzi di fiori in mano (arrivavano un po’ malmessi, d’accordo, ma arrivavano).
Al cimitero, la mamma ci portava prima in chiesa (un tempo era nel famedio, la chiesa, e occorreva salire tanti gradini per accedere, ma quando venne costruita quella nuova divenne tutto più comodo). Poi iniziava il giro di parenti e amici ai quali lasciare un fiore e una preghiera. Che io ricordi, la prima era sempre la Bi, la mia amichetta del cuore, morta a 10 anni per una malattia fulminante e che ho sempre tenuto nel cuore. Ancora oggi è così: la prima visita è sempre per lei. Poi iniziava il giro - lunghissimo – e ad ogni tomba la mamma ci ricordava chi era la persona che stavamo salutando; in questo modo quelle tombe non erano solo lapidi fredde, ma diventavano vite vissute, vite che si erano in qualche modo intrecciate con la nostra.
Ricordo la tristezza della mamma quando andavamo a portare un fiore non su una tomba ma su una specie di tombino che, diceva la mamma, chiudeva la «fossa comune», cioè una specie di grande tomba nella quale venivano messe le ossa delle persone che non avevano una tomba per loro. Non so più quante volte chiedemmo alla mamma perché la nostra nonna, la sua mamma, non avesse la sua tomba come tutti gli altri. Ed era con una tristezza infinita che ci rispondeva che lei aveva solo 4 anni quando la sua mamma era morta, e che quando avevano dovuto cambiarle posto non avevano i soldi per la tomba e così la nonna era là sotto. Mi ha sempre fatto una tristezza immensa pensare ad una mamma giovanissima per la quale non c’era stata una tomba.
Passavamo a salutare il papà della mamma e il suo nonno, al quale lei era molto legata, e poi le zie e un’infinità di parenti. Poi andavamo nella zona dove c’erano i soldati morti in guerra, e poi in una cappella: per aprirla la mamma doveva farsi dare le chiavi. Era la cappella dei sacerdoti e noi portavamo un fiore al parroco della parrocchia di Sant’Andrea, morto da poco.
Poi iniziava il giro degli amici e dei conoscenti e la mamma ci raccontava aneddoti su di loro o pezzetti di vita. E così non era mai noioso andare al cimitero, perché ritrovavamo il lattaio e la fornaia, il calzolaio e la sarta, la padrona di casa e il falegname. Ed erano volti conosciuti e storie che si rinnovavano sempre. Molte le ricordo ancora, e regalano sorrisi.
La cosa che ci rattristava di più era il campo dei bambini. C’erano tante piccole tombe di bimbi morti troppo presto ed erano in uno spazio strano, sembrava quasi che fosse al limite del cimitero. La mamma raccontava che un tempo c’erano tanti cimiteri a Bergamo, nei vari quartieri. Quando venne deciso di costruire il cimitero nuovo, così grande da servire per tutta la città, gli altri vennero chiusi. Qui, dove c’è il campo dei bambini, c’era il cimitero di San Maurizio che aveva una forma circolare che si può vedere ancora oggi. Per questo le tombe più antiche si trovano qui, perché il nuovo cimitero inglobò quello antico. Ogni tanto la mamma chiedeva anche la chiave di un cancello, quello che chiudeva lo spazio del cimitero dei protestanti: lì c’erano persone che conosceva e lei voleva regalare una preghiera anche a loro.
Quando la visita era finita, avevamo diritto a perderci tra le bancarelle… dovevamo scegliere con oculatezza, perché ci erano consentiti tre dolcetti a testa. Ed era una festa! A me «gli ossi dei morti» non piacevano, così prendevo il torrone; che, di solito, riuscivo a far durare fino a Santa Lucia.
Oggi non è più così. Oggi ai bambini la morte viene celata, per non impressionarli. Chissà, forse è giusto così. Ma per noi, in fondo, la morte era una cosa naturale. Si andava a far visita alle persone ammalate e quando morivano si andava a recitare una preghiera. I bambini partecipavano ai funerali senza problemi. Quando ero all’asilo, se c’era il funerale di una persona conosciuta, le suore ci mettevano in fila per due e andavamo al funerale, che era una cosa normale. Coi miei bambini abbiamo seppellito in giardino tutti gli animaletti che ci sono morti, con cerimonie vere. Quando il pesciolino rosso dei miei nipotini è stato deposto nel fiume, così sarebbe guarito, beh, mi è sembrato strano. Però non ho detto nulla. Ho sorriso, qualche tempo dopo, quando il mio nipotino mi ha fatto notare che se tutti i pesciolini rossi lasciati nel fiume fossero guariti, ce ne sarebbero tantissimi, invece non se ne vedono. Forse, nonna, erano solo morti.
Mario Pelliccioli: il carrista d’Italia e il Tempio di Sudorno
Nel luglio 1994 moriva il Cav. Uff. Mario Pellicioli, per vent’anni presidente della sezione di Seriate dell’Associazione nazionale carristi d’Italia. Le cronache de L’Eco di Bergamo lo ricordano in occasione di una Messa che in suo suffragio fu celebrata nel Tempio di Sudorno, dedicato a tutti i militari Caduti in guerra per la Patria. Ogni anno nel mese di novembre in questa chiesa, che si trova in via Sudorno, 32, viene celebrata una messa alla quale partecipano le maggiori autorità cittadine e provinciali, il Nastro Azzurro, rappresentanze combattentistiche e d’Arma, le dame per l’assistenza spirituale delle Forze Armate, la Croce rossa italiana e una rappresentanza della «Legnano». In questo 2025 è stata il 10 novembre con il nuovo parroco della Comunità pastorale di Città Alta mons. Claudio Dolcini.
Iolanda Sangalli: la crocerossina sempre in prima linea
La più grande preoccupazione di Iolanda Sangalli era che i giovani vivessero in un mondo egoista e superficiale. Per questo dalla sua mente e dall’operosità delle sue mani venivano alla luce molti progetti di solidarietà a vantaggio dei bisognosi. Iolanda è diventata, in giovane età, crocerossina e da allora ha amato, sofferto e lavorato tanto per i suoi ideali che sono stati la solidarietà vissuta 50 anni al servizio della Croce rossa. Con la missione che le fu affidata, ha operato nell’ambito di tutte le disgrazie del nostro paese, dal bombardamento di Dalmine ai terremoti del Friuli e dell’Irpinia e fino alle frontiere che ci sono nei nostri paesi con i giovani disorientati e la sacralità e il senso della vita. Iolanda Sangalli vedova Ricci ci lasciava nell’estate del 1994, vittima a 74 anni di un incidente stradale.
Emilio Salvi: il muratore brembano con la memoria di ferro
Nel novembre 1994 moriva Emilio Salvi, nato nella borgata di Piazza a San Pellegrino Terme. A 14 anni aveva iniziato a lavorare come garzone di muratore. Era stato quindi assunto, sempre come muratore, alla «Sanpellegrino» dove si era distinto per la capacità e operosità, fino ad assumere il ruolo di responsabile. Era andato in pensione dopo 40 anni di lavoro. Cordiale di carattere, lavorava come volontario in parrocchia, per l’asilo e per la casa di riposo Oasi. Aveva una memoria prodigiosa: per tutta la comunità era la memoria storica di fatti, avvenimenti e persone. Di ognuno serbava i ricordi e raccontava aneddoti che quasi sempre coloriva con quel sottile umorismo che lo rendeva simpatico a tutti. La sua comunità di Piazza a San Pellegrino Terme ne ha celebrato per anni la memoria.
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