Da Bergamo ostetrica in India: «Qui tante nascite ma la professione è ormai scomparsa»

Bergamo senza confini Elisabetta Conti, 32 anni, di Curno: da Londra alla regione del Telangana. Da dieci anni opera presso il Newhan hospital inglese. Per dieci mesi in India a formare le operatrici del posto.

«Il telugu è una lingua divertente. La chiamano l’italiano dell’est perché quasi tutte le parole finiscono in “a” e in “u”. È una delle tante lingue che si parlano in India ed è quella ufficiale degli Stati dell’Andhra Pradesh e del Telangana. Ho provato a imparare qualche frase e subito gli abitanti del posto mi hanno detto che parlavo bene. Ma la loro, scommetto, era solo cortesia». Elisabetta Conti, 32 anni, di cui 24 passati tra Curno e Monza, dove si è laureata in Ostetricia nella sede distaccata dell’Università Bicocca di Milano, un pezzo di cuore lo ha lasciato a Hyderabad, nel Telangana indiano, «una città bellissima – dice – che in Italia nessuno conosce, ma dove vivono quasi 7 milioni di persone, famosa per le sue aziende tecnologiche e dove regna un mix di culture e di religioni che sembrano aver trovato un equilibrio perfetto».

Dall’Inghilterra all’India

La domanda è banale, ma resistere alla curiosità è impossibile: perché in India, e perché proprio nello Stato del Telangana? «Per aiutare una Fondazione a far tornare le ostetriche nel Paese». E qui il discorso si fa più serio: un anno fa Elisabetta lascia il suo lavoro per prendersi un anno sabbatico: «Volevo capire cosa fare della mia vita – dice –. Fino ad allora avevo sempre considerato la mia esperienza inglese come una tappa provvisoria della mia esistenza, nonostante fossero già passati sette anni».

Al Newhan hospital a Londra

L’India, l’Inghilterra, l’operazione “ripopolamento” delle ostetriche, la Fondazione: serve fare un passo indietro, anzi due. «Mi sono laureata ad ottobre del 2012, a 22 anni – racconta Elisabetta Conti – e dopo un anno e mezzo ero già a Londra. Durante il tirocinio, avevo conosciuto un’ostetrica che aveva lavorato per un paio d’anni a Londra. Vedendo lei, il suo approccio al lavoro, il tipo di assistenza che dava alle donne, mi sono lasciata ispirare e mi è venuta voglia di andare all’estero. Sono partita con un’amica che si era laureata con me; insieme abbiamo trovato una casa e in attesa di iscriverci al collegio delle ostetriche, ci siamo mantenute facendo altri lavori». Al colloquio per un posto al Newhan Hospital di Londra le candidate erano una ventina, la metà italiane. «Mi hanno presa subito – dice ancora Elisabetta – e oggi ancora lavoro nella stessa struttura. In Inghilterra l’ostetrica può lavorare in diversi ambiti: per i primi tre anni sono stata in ospedale, poi mi sono spostata in una “casa della maternità”, un centro gestito da ostetriche del Servizio sanitario, dove le donne che non hanno avuto problemi in gravidanza possono partorire sentendosi a casa».

Esperta in parto a domicilio

Vien da sé un paragone con il nostro Paese: «Qui in Inghilterra le donne scelgono di partorire anche a domicilio e sono seguite da ostetriche professioniste come se fossero in ospedale. Alla nostra professione, in Italia, si accede perlopiù attraverso dei concorsi e per anni i contratti sono a tempo determinato. Qui non è così: io sono stata assunta dopo un colloquio e con un contratto a tempo indeterminato. Dopodiché, in Inghilterra abbiamo molte più possibilità di lavoro e di fare carriera anche fuori dagli ospedali».

«Mi hanno presa subito – dice ancora Elisabetta – e oggi ancora lavoro nella stessa struttura. In Inghilterra l’ostetrica può lavorare in diversi ambiti: per i primi tre anni sono stata in ospedale, poi mi sono spostata in una “casa della maternità”, un centro gestito da ostetriche del Servizio sanitario, dove le donne che non hanno avuto problemi in gravidanza possono partorire sentendosi a casa».

Stipendi più alti

Differenze importanti, cui si somma anche un trattamento economico diverso e senz’altro più remunerativo oltre Manica, dove comunque il tenore di vita è più alto che in Italia. «A Londra per affittare una stanza possono servire fino a 700 sterline (circa 820 euro, ndr) – puntualizza Elisabetta –. Dipende dalla zona e con quante persone si è disposti a convivere». Senz’altro non un deterrente per la nostra giovane ostetrica, che in Italia – almeno per il momento – non ha alcuna intenzione di tornare: «È il sistema italiano che non mi convince – confessa – e poi sono così vicina che, organizzandomi con i turni, riesco a tornare anche un paio di volte al mese, abbastanza per dire che della mia terra non mi manca molto».

«Anche qui, poi, amo leggere solo in italiano, perché è l’unica lingua che mi rilassa davvero, anche se ormai da anni parlo sempre inglese. E da quando sono stata in India, ho imparato a rilassarmi con lo yoga. Là ho vissuto a contatto con persone molto più grandi di me, e ho avuto molto tempo per riflettere» spiega al 32enne. A Curno ha lasciato mamma Daniela, papà Livio e i fratelli Filippo e Luca.

Via con Fernandez Foundation

Sì, ma l’esperienza in India? «Diciamo che mi ha convinto a restare più a lungo lontano dall’Italia, anche se dopo aver cercato di cambiare le cose là, non mi dispiacerebbe dare il mio contributo anche al mio Paese – dice ancora Elisabetta –. Chissà, forse in futuro. In India mi piacerebbe tornare, anche solo per poche settimane, perché nel frattempo ho ripreso il mio lavoro in ospedale. Sono stata là dopo aver fatto due settimane di volontariato in Malawi, nel 2019, dove mi si è riaccesa la vocazione per il mio lavoro. Quell’esperienza mi ha dato la carica e dopo il Covid sono partita per prendere parte a un progetto della Fernandez Foundation, che avevo conosciuto tramite un’altra collega».

L’obiettivo di questo progetto è di riportare la figura dell’ostetrica in India, dopo che mezzo secolo fa questa pratica è di fatto sparita dagli ospedali: «Là le donne sono curate da infermieri e ginecologi – racconta Elisabetta – ed essendo la natalità molto alta, non c’è un’attenzione particolare, basti pensare che un medico può arrivare a visitare fino a 50 donne al giorno. Tutto ciò senza contare che questo approccio ha fatto impennare la medicalizzazione, al punto che oggi il 70% dei bambini nascono con un parto cesareo.

Figura professionale scomparsa

L’obiettivo di questo progetto è di riportare la figura dell’ostetrica in India, dopo che mezzo secolo fa questa pratica è di fatto sparita dagli ospedali: «Là le donne sono curate da infermieri e ginecologi – racconta Elisabetta – ed essendo la natalità molto alta, non c’è un’attenzione particolare, basti pensare che un medico può arrivare a visitare fino a 50 donne al giorno. Tutto ciò senza contare che questo approccio ha fatto impennare la medicalizzazione, al punto che oggi il 70% dei bambini nascono con un parto cesareo. Il nostro impegno, con questo progetto, è quello di offrire un’assistenza e una cura dignitosa a tutte le donne in gravidanza, dare consigli per mantenerle in salute e far vivere loro il periodo della gravidanza nel migliore dei modi, creando anche un rapporto umano. Ma prima ancora, il mio compito è stato quello di formare le ostetriche, anche attraverso un corso di studio ad hoc che è stato introdotto proprio dalla Fondazione». Elisabetta è tornata al suo lavoro nella capitale inglese con altri sogni nel cassetto: «Mi piacerebbe vedere le ostetriche italiane più coinvolte durante la gravidanza – dice –. Ne abbiamo di straordinarie che si impegnano anche nei consultori, e sarebbe bello avere un sistema che permettesse a tutte le donne di ricevere le loro cure, prima e dopo il parto».

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