«Così fu uccisa Gianna Del Gaudio»
Il film del delitto nelle tracce di sangue

La ricostruzione fatta giovedì 13 febbraio in aula dal Ris sulla base della tipologia degli schizzi di sangue: sorpresa alle spalle mentre stava lavando i piatti.

Sono le macchie di sangue della vittima a raccontare questo delitto, a dirci delle esitazioni dell’assassino dopo aver ucciso Gianna Del Gaudio. La ricostruzione fatta giovedì 13 febbraio in aula dal maresciallo del Ris Dario Cappati vuole la professoressa intenta a lavare in piatti (quando arrivano i famigliari l’acqua del lavabo scorre ancora).

Secondo il sottufficiale, l’omicida l’ha presa alle spalle, poi l’ha fatto ruotare di 180 gradi e ha sferrato la coltellata che le ha squarciato la gola. Analizzando la tipologia degli schizzi di sangue sul pavimento, Cappati giunge ad affermare che le gocce sono partite da un’altezza compresa fra i 25 e gli 85 centimetri dal suolo. «Dunque – ha specificato –, quando è stata colpita non era eretta, ma era più vicina al suolo, piegata verso terra e trattenuta dall’aggressore oppure inginocchiata».

Il sangue è sgorgato copioso dalla ferita. Ma ci sono alcune macchie isolate, in soggiorno e davanti alla scala interna, che il maresciallo legge come gocce cadute dalla lama del cutter. «L’assassino lo impugnava e si è fermato in quel punto perché l’angolatura delle macchie non corrisponde a una persona in movimento». C’è poi il sangue sulla confezione di mozzarella appoggiata al top della cucina e distante dal cadavere. Il sottufficiale lo spiega così: «L’aggressore voleva il sacchetto nel quale erano contenute le confezioni di mozzarelle, quello ritrovato in via Presanella, per metterci il coltello. Così ha estratto la confezione di mozzarella e l’ha appoggiata sul top. Aveva i guanti insanguinati e questo spiega il sangue sulla confezione».

Già, i guanti. L’assassino deve esserseli tolti solo al momento di gettare il sacchetto con il cutter. Perché nessuna impronta digitale insanguinata è stata rilevata nell’abitazione. Ha toccato le maniglie della porta-finestra della cucina e di quella che dà sul soggiorno, ha spento la luce perché sull’interruttore ci sono tracce di sangue. Ha preso la borsa della professoressa e ha frugato al suo interno puntando al portafogli: c’è sangue sia sulla prima che sul secondo. Poi è uscito dalla porta posteriore. S’è issato sul muretto del vialetto, appoggiandosi allo stipite del cancello. Ci sono tracce ematiche su tre foglie della siepe e sullo stesso stipite. «Forse ha scavalcato o forse si è sporto per capire se stesse passando qualcuno nel vialetto esterno», sono le supposizioni del maresciallo.

Se davvero è Tizzani l’omicida, come ha fatto a non sporcarsi di sangue i vestiti che indossava (sono state rilevate tracce ematiche sulle suole dei suoi sandali, ma sono compatibili col camminamento dopo il delitto)? Può essere che, avendola aggredita alle spalle, il corpo della moglie gli abbia offerto riparo dagli schizzi di sangue, ipotizza Cappati. L’assassino potrebbe essersi imbrattato di sangue agli avambracci, alle mani e ai piedi (i test su orologio, anelli e braccialetto dell’imputato hanno dato esito negativo, ndr)», ma di sicuro non s’è risciacquato nel lavandino del bagno di casa Tizzani. Il Ris ha compiuto prelievi anche lì, ma «non sono state rilevate tracce di grandi quantità di sangue».

È vero che nello stesso lavandino c’erano tracce ematiche miste di marito e moglie, come ha evidenziato il sottufficiale, ma non viene attribuita molta importanza al dettaglio perché è verosimilmente sangue sedimentatosi col tempo e da ricondurre all’uso quotidiano.

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