Un bergamasco dietro il montaggio
di grandi film da Disney a Netflix

Paolo Buzzetti è specializzato nella produzione audiovisiva e nel montaggio cinematografico collabora con registi come Ridley Scott e Robert Eggers. Da Bergamo a Londra, il passo è stato breve per Paolo Buzzetti, che ha avuto grande successo nel settore della produzione audiovisiva e nel montaggio cinematografico, arrivando a collaborare con realtà come Netflix e Disney, ma anche con registi del calibro di Ridley Scott e Robert Eggers. «Nel 1997 mi sono diplomato al Sarpi e mi sono iscritto ad un corso di “Hard disk recording e tecnico del suono digitale”, che è stato fondamentale per avvicinarmi ai rudimenti dei software di montaggio audio (Logic e Pro-Tools), mentre più avanti ho imparato ad usare anche i software di montaggio video. In ambito web design collaboravo già con “MoltiMedia Fattoria Digitale” e in ambito video con la cooperativa “Multimagine”, che compongono un polo multimediale con sede a Bergamo. In 5 anni di lavoro imparai a usare il software di montaggio video e cinematografico che uso tuttora, Avid MediaComposer».

Aveva già deciso di partire ?

«L’attrazione per Londra e gli Stati Uniti c’è sempre stata, soprattutto basata sul mio background di appassionato di musica e film. La partenza vera e propria per la capitale inglese è maturata in un periodo in cui mi trovavo a Roma e collaboravo di frequente con produzioni internazionali che lavoravano a lungometraggi o serie tv in Italia, fra le quali “Third Person” di Paul Haggis, “Portrait”, un pilota per la televisione americana girato da Ridley Scott, “Mia and Me” prodotto da Rainbow, la casa di produzione delle Winx. Avendo avuto la possibilità di lavorare con i loro editor e i loro produttori, mi resi conto che avevo maturato le capacità per lavorare all’estero. La cosa curiosa è che a fine 2013, nel momento esatto in cui stavo chiudendo la valigia per partire, mi arrivò una mail chiedendo se sarei stato disponibile per un colloquio via Skype per lavorare sul film “Exodus” di Ridley Scott. Risposi che ci saremmo visti di persona e il colloquio andò molto bene, tanto che subito cominciammo a lavorare sul film, prima a Londra, poi in Spagna e alle Isole Canarie. La prima esperienza lontano da casa fu “L’isola dei Famosi”, la terza edizione del 2006 a Santo Domingo, prodotta da Giorgio Gori. Anche se la produzione Magnolia era basata a Milano, il grosso della troupe si trovava a Samanà nella Repubblica Dominicana. La presi come un’occasione per imparare e conoscere persone con vari background, televisivo, cinematografico o di scrittura. Grazie a questa esperienza, mi trasferii a Milano l’anno successivo e poi nel 2009 a Roma. Vivere nella Capitale fu molto stimolante, è una città magica, dove tuttora ho molti amici, ma diventò più difficile tornare a Bergamo con regolarità, visto che nel mio settore spesso si lavora anche al weekend e non è facile programmare vacanze».

Quali emozioni si provano a lavorare con personaggi del calibro di Ridley Scott?

«Lavorare sui film di Ridley Scott “Exodus” e “The Martian” fu fonte di grande emozione e novità per via della logistica incredibile utilizzata su quel tipo di progetti. Avevamo un team di tecnici che trasferivano le nostre attrezzature di montaggio da una location all’altra in giro per il mondo, così che noi potessimo continuare a montare il film ovunque fosse il regista. Parliamo di team di uno o due montatori e di 6 o 7 assistenti, con strumentazioni molto sofisticate con trasferimenti internazionali su aerei charter e collegamenti internet ad alta velocità installati anche in mezzo al deserto. Vedere in anteprima materiale girato dal regista con alcuni dei più grandi attori del mondo è sempre stata un’esperienza impagabile».

Come si svolge la sua giornata tipo?

«Il mio lavoro varia molto a seconda del tipo di ruolo che rivesto su un progetto e della produzione del film in cui ci troviamo. Io e la mia compagna ci alziamo presto per esercitarci con il nostro personal trainer, verso le 7.50 inforco la mia bicicletta e per le 8.30 mi trovo nella struttura che ospita il montaggio, nel quartiere centrale di Soho. Per iniziare la giornata, rimango fedele alle mie radici italiane con un cappuccino, dopodiché decido con i miei collaboratori le priorità della giornata. Di solito partecipo a una o più riunioni, di persona o in collegamento remoto, con il regista e la montatrice capo, e il reparto effetti visivi, per seguire da vicino lo sviluppo degli effetti visivi necessari a completare il film. Una veloce pausa pranzo è propedeutica allo scambio di alcune email con i produttori che si trovano a Los Angeles. Nel pomeriggio invece spesso mi dedico al lavoro creativo per la montatrice e il regista del film».

Quali sono i progetti per i prossimi anni?

«Vorrei rivestire sempre meno il ruolo di first assistant editor, anche se mi piace molto, passando al ruolo di editor, per concentrarmi come montatore sull’aspetto creativo del film. Il sogno nel cassetto è di continuare la produzione del documentario “The Singing Chef”, la storia del mio pro-pro-zio Giuseppe Milani che nel 1911 emigrò da Napoli a Los Angeles e diventò un intrattenitore radiofonico e poi una delle prime star televisive-chef della storia. Sono riuscito a trovare le sue trasmissioni negli archivi americani, con più di 18 film che girò con Warner Brothers negli anni ‘40. In uno dei nastri canta “That’s Amore” insieme al comico Groucho Marx. Ho anche realizzato alcune riprese negli Stati Uniti su questo soggetto e ora devo trovare il tempo per montarle».

Quali consigli darebbe ai ragazzi che stanno iniziando questo percorso?

«I ragazzi di oggi sono probabilmente più svegli rispetto alla mia generazione, ma devono comprendere che a volte è necessario lavorare veramente sodo e rinunciare a svaghi e vita privata quando ci sono delle urgenze lavorative. Consiglio infine di imparare più lingue, parlare un po’ di spagnolo mi ha aiutato molto quando lavoriamo in giro per il mondo e garantisce una marcia in più rispetto a chi parla solo inglese».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

© RIPRODUZIONE RISERVATA