La proposta: «Testare in 100 Pmi l’orario ridotto»

IL FORUM. La proposta di Fumarola (Cisl): sperimentazione a parità di salario, sostenuta da incentivi Il presidente Biffi: il valore del lavoro non si misura col cartellino. La ministra Calderone: tema da trattare in azienda

Sperimentare in 100 imprese medio-grandi, su base volontaria, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, sostenuta da incentivi e leve fiscali. È la proposta di Daniela Fumarola, segretaria nazionale della Cisl, lanciata il 10 novembre a Milano nell’ambito di «Relind - Forum delle Relazioni industriali». L’appuntamento, promosso da Confindustria e Assolombarda, ha inaugurato un confronto strategico sul tema del «Riformare il tempo, ripensare il lavoro», in una discussione che ha riunito i vertici delle associazioni imprenditoriali e i segretari nazionali dei sindacati confederali.

Un dibattito complesso, al centro del quale si colloca la stagnazione della produttività del lavoro. «In Italia è sostanzialmente ferma da oltre trent’anni: tra il 2014 e il 2019 la crescita media annua è stata appena dello 0,1%, mentre tra il 2019 e il 2024 si è registrata una lieve flessione (meno 0,1%)», emerge dal report.

La visione del mondo imprenditoriale, espressa in apertura di convegno da Alvise Biffi, presidente di Assolombarda, sposta l’asse della discussione. L’urgenza è «creare più valore attraverso il risultato del nostro lavoro», anziché misurare il valore aggiunto con le ore sul cartellino. La «nuova rivoluzione industriale guidata dall’innovazione» può tradursi in un beneficio tangibile: un aumento della produttività del 10% nelle micro, piccole e medie imprese industriali, guidato dalle sole tecnologie già presenti, potrebbe generare «un incremento di 2,4 miliardi di euro di valore aggiunto», nelle province di Milano, Monza, Lodi e Lecco, competenza di Assolombarda. Per raggiungere tale obiettivo, secondo Biffi, è indispensabile che le imprese «continuino a innovare, investire, formare», le istituzioni «creino un quadro normativo che accompagni, e non freni, l’evoluzione» e i sindacati si facciano «protagonisti di un nuovo patto basato sulla visione condivisa del lavoro». L’imperativo è «riportare la fiducia al centro del sistema lavoro».

I risultati della ricerca

La crescente domanda di flessibilità oraria da parte dei lavoratori, emersa dalla ricerca curata da Adapt e presentata dal suo presidente Francesco Seghezzi, si scontra con una «cultura organizzativa ancora caratterizzata da significativi elementi di rigidità». La contrattazione collettiva diventa così lo strumento più idoneo per pilotare la sperimentazione. Sulla stessa linea, ma con toni cauti rispetto alla riduzione oraria tout court, il vicepresidente di Confindustria, Maurizio Marchesini: «L’evoluzione tecnologica e digitale ci chiede di lavorare meglio, non meno», modulando gli orari in base alle caratteristiche dei singoli settori.

La tavola rotonda avviata da Marchesini ha evidenziato anche una prospettiva critica sul nesso esclusivo tra orario e produttività. L’opinione di Pierpaolo Bombardieri (Uil) è che per aumentare la produttività sia «necessario verificare che le aziende investano e sappiamo che non avviene sempre per tutte». Tesi confermata dai dati riportati da Maurizio Landini (Cgil): «Lo dice Mediobanca: dal 2015 al 2024, il 79% dei profitti che sono aumentati non è stato reinvestito, ma suddiviso tra gli azionisti». Ne consegue che il tema centrale secondo Landini, quando si parla di orario lavorativo, è come sia pagato, in quanto il reddito del lavoro in Italia «è più basso della media europea».

A chiudere il cerchio, il contributo della ministra del Lavoro, Marina Calderone, secondo la quale il cambiamento degli orari di lavoro implica innanzitutto un «cambiare mentalità». Riconoscendo la complessità del tema e la necessità di adattamenti sartoriali, la ministra ha ipotizzato: «Credo sia materia da assegnare alla contrattazione integrativa, di secondo livello», ossia quella «fatta in sede aziendale o territoriale di prossimità», che può sviluppare soluzioni strettamente legate al modello organizzativo di ciascuna impresa.

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