Raccolta grano con i prezzi crollati.
E c’è chi pensa di cambiare coltura

BERGAMO. Alla vigilia della raccolta anche l’agricoltura orobica si interroga sul futuro di una commodity che negli anni è stata oggetto di speculazione. L’analisi fornita da Coldiretti su dati Istat evidenzia meglio il fenomeno.

Conviene ancora coltivare grano in Italia (e a Bergamo)? Quando ormai siamo alla vigilia della raccolta, anche l’agricoltura orobica si interroga sul futuro di una commodity che negli anni è stata oggetto di speculazione.

Il fenomeno

L’analisi fornita da Coldiretti su dati Istat evidenzia meglio il fenomeno. Per quanto riguarda il frumento tenero in Bergamasca, erano 3.675 ettari coltivati nel 2021 per un raccolto di 231mila e 985 quintali, mentre lo scorso anno si è passati a 3.740 ettari con 221 mila e 465 quintali di produzione. Se prendiamo in esame il frumento duro, notiamo come ettari e produzione si siano dimezzati nel giro di 12 mesi, passando dai 10 ettari del 2021, che hanno prodotto 570 quintali, ai 5 dello scorso anno, forieri di soli 265 quintali raccolti.

Negli ultimi otto mesi, secondo i dati forniti dalla Cia, il prezzo del grano tenero è sceso da 350 a 240 euro per ogni tonnellata, con una tendenza ulteriore al ribasso, anche a seguito della speculazione internazionale e dell’arrivo di grano ucraino. Numeri che raffreddano l’interesse degli agricoltori che si dichiarano preoccupati, indicando peraltro che a queste condizioni la coltivazione del grano non è più economicamente sostenibile: c’è chi pensa a cambiare tipi di coltura.

«Il settore è in crisi completa - spiega Gianfranco Tomaselli, referente per Coldiretti Bergamo, che gestisce un’azienda agricola a Valbrembo -. Dopo la siccità è arrivata troppo acqua e il fondo è marcito molto. Vento e temporali giornalieri hanno causato grandi perdite sia nella quantità sia per quanto riguarda la qualità. In ultimo è calato il prezzo del grano,ora veramente ridicolo, e destinato ulteriormente a scendere. Attendiamo notizie positive: se poche settimane fa eravamo in dubbio per la semina a causa della siccità, oggi abbiamo il problema opposto: ho 70 anni ma non mi è mai capitato di vedere 40 giorni di acqua e francamente cadono le braccia».

Pane bergamasco a rischio

Il calo di produzione sta penalizzando anche il progetto «Qui Vicino», promosso dall’Aspan, l’associazione dei panificatori della Bergamasca. Grazie alla disponibilità di 9 coltivatori, è stata messa in luce la filiera del grano, con la storia del chicco che si trasforma in pane, supportato da una tecnologia blockchain.

«Quest’anno, dei 9 iniziali, sono rimasti solo due agricoltori ad aderire al progetto – commenta Massimo Ferrandi, presidente di Aspan Bergamo -. Il grano bergamasco si è esaurito lo scorso mese e oggi siamo costretti ad acquistarlo a Mantova per avere un prodotto certificato lombardo. Numeri alla mano, scendendo da 9 a 2 coltivatori di grano, siamo passati da 35 mila quintali a 2.500, che chiaramente non bastano per soddisfare il fabbisogno – conclude Ferrandi -. L’appello va a tutti gli operatori, affinché si riesca a portare avanti la nostra iniziativa, tenendo presente che i grandi coltivati nella pianura padana si sono adattati al nostro clima negli ultimi due secoli di storia e se guardiamo al consumatore, non c’è paragone a poter mangiare un pane prodotto con farina locale».

Sull’argomento è intervenuta anche Confagricoltura Bergamo. «Dai 38 euro al quintale registrati a maggio 2022 siamo passati agli attuali 25 – commenta il direttore Enzo Ferrazzoli -. A questi livelli difficilmente la produzione di grano tenero potrà restare remunerativa, ormai siamo sotto il costo di produzione. Da anni in Bergamasca si assiste ad una riduzione delle superfici coltivate a frumento tenero, a cui occorre aggiungere un calo delle rese per ettaro causate dall’andamento climatico, passate da 64 quintali per ettaro del 2018 ai 59 dello scorso anno. L’unica strada percorribile è la valorizzazione della filiera italiana, che significa fare sistema con tutti i soggetti della filiera: imprese agricole, molitori, trasformatori e Gdo».

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