L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 04 Novembre 2025
Astensionismo: le radici economiche e culturali
ITALIA. La recente tornata elettorale che ha interessato Marche, Calabria e Toscana, nella quale meno del 50% degli elettori è andato a votare, ha confermato, come d’altronde c’era da attendersi, la presenza nel Paese di una «forza elettorale ombra» che rabbuia e sottrae ossigeno democratico al presente: l’astensionismo.
Secondo un recente rapporto elaborato da Area studi Legacoop e Ipsos, le motivazioni principali di questa autolesionistica rinuncia all’esercizio di un diritto per il quale donne e uomini del ’900 hanno dato la loro vita sono da ricondurre: a una sostanziale mancanza di fiducia nei leader politici (28%); all’assenza di partiti o candidati capaci di rappresentare gli elettori (16%); alla protesta contro il sistema politico (12%); alla stanchezza e alla rabbia (11%).
Astensionismo: forma di protesta
Commentando il rapporto, il presidente di Legacoop Simone Signorini ha tenuto a sottolineare che «la maggior parte dei cittadini considera l’astensionismo un problema serio per la democrazia e per quasi la metà non è più una forma di disinteresse dalla politica, ma una vera e propria azione di protesta politica». Da qui l’invito ad agire in fretta per invertire questa tendenza, coinvolgendo non solo i partiti ma anche i corpi intermedi, le organizzazioni sociali ed economiche, il Terzo settore e le numerosissime esperienze civiche individuali e collettive che danno linfa al volontariato.
La de-alfabetizzazione
Allargando il campo di osservazione oltre lo scenario politico, si ritrovano concrete ragioni per ritenere che l’astensionismo abbia anche, e forse soprattutto, radici «culturali» ed «economiche». L’ultimo Rapporto Censis sulle competenze degli adulti sopra i 16 anni ha evidenziato un crescente analfabetismo di ritorno e un’ignoranza diffusa tra italiani e italiane che «sono ignoranti e de-alfabetizzati. Non leggono, se leggono non comprendono quello che leggono, non sanno far di conto. Quelli del Sud ancora peggio che quelli del Nord». Guardando a questo desolante scenario, si può ben comprendere quanto poco interesse possa avere per una gran parte degli italiani l’esercizio del diritto di voto, non comprendendone l’importanza quale strumento essenziale per partecipare alla vita democratica del Paese.
L’astensionismo ha anche, e forse soprattutto, radici «culturali» ed «economiche».
D’altra parte, un recente rapporto dell’Istat ha evidenziato come «in Italia 2,2 milioni di famiglie (circa 6 milioni di persone) versano in condizioni di povertà assoluta e non riescono neppure a far fronte alle spese per i beni e servizi essenziali, dal cibo alla casa o all’istruzione. I due terzi delle famiglie povere (67,7%) sono famiglie di soli italiani». Il Codacons evidenzia che negli ultimi 5 anni il numero di individui poveri adulti è salito di 1,1 milione.
Vota, comprensibilmente, chi non ha gravi problemi economici o chi, pur avendoli, crede nella capacità della politica di dare risposte efficaci alle proprie difficoltà. Quando le incertezze
«Quando le incertezze economiche personali e familiari sono sovrastanti, subentra un profondo disincanto e la scelta della non partecipazione al voto tende a diffondersi»
economiche personali e familiari sono sovrastanti, subentra un profondo disincanto e la scelta della non partecipazione al voto tende a diffondersi. È quanto sta accadendo nel nostro Paese, che pure ha riscontrato in passato una tradizione partecipativa elevata (80%). Dai dati Istat dell’ultimo decennio si ricava che a fronte di un aumento di oltre 12 punti dell’astensione, si registra che tutti gli indicatori di povertà assoluta e relativa sono aumentati sia a livello nazionale che nelle macroaree del Nord e del Mezzogiorno.
Ricomporre le fratture interne
Solo attraverso una sana ricomposizione delle fratture interne al nostro Paese sarà possibile ricucire quello strappo sempre più netto fra politica e società civile che paga oggi il prezzo più alto di un inaccettabile dato astensionistico al voto. Riportare le persone, oggi giustamente disilluse, a scegliere attivamente, a partecipare alla dinamicità della vita pubblica e ad avere fiducia negli organismi e nei contrappesi della nostra Repubblica è una priorità assoluta in merito alla quale chiunque ricopra ruoli istituzionali ha il dovere di sentirsi responsabile e potenziale artefice di un’inversione di paradigma.
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