L'Editoriale
Venerdì 05 Dicembre 2025
Atreju, corsa per esserci: film già visto con il potere
MONDO. Da domani (6 dicembre ndr) e fino al 14 dicembre – nove interminabili giornate – tutta la politica italiana (o quasi) si trasferirà nei restaurati giardini di Castel Sant’Angelo chez Sorelle Meloni.
Sarà l’edizione monstre di Atreju al termine del terzo anno di governo. Lontani i tempi in cui i militanti di Colle Oppio si autotassavano per mettere in piedi una festicciola da underdog: questa volta invece arriveranno a frotte vip e presunti tali dello spettacolo, della televisione, dello sport, della mondanità teverina, segnale inequivocabile del successo di un partito di potere. Sarà un affollarsi degli stessi che si accapigliavano per una particina alle convention del Psi di Craxi al culmine del suo potere pre-Tangentopoli, o alle «feste dell’amicizia» della Dc dominate da un onnipotente Pippo Baudo, e persino alle Feste dell’Unità. E così sul prestigioso palco sotto il mausoleo di Adriano e la fortezza dei Papi si scapicolleranno Carlo Conti e Mara Venier, Raul Bova ed Ezio Greggio, Julio Velasco e persino Roberto Giacobbo a certificare che lì il potere c’è davvero, promette anche di durare a lungo e dunque tanto vale tenerselo buono. A completare l’allure della coppia di sorelle stimate nel mondo, da Ramallah sbarcherà a Roma Abu Mazen, il presidente dell’Autorità palestinese ma ci sarà anche uno degli ostaggi israeliani tenuti nelle galere di Hamas per centinaia di giorni: la par condicio sarà così rispettata.
Mancherà solo Elly Schlein
Dicevamo la politica. Mancherà solo Elly Schlein, e un po’ per colpa sua. Invitata, aveva posto condizioni: vengo solo per confrontarmi con Giorgia Meloni, un a tu-per-tu tra due candidate premier. Ma Meloni è stata più scaltra e perfida: «Vieni, ma insieme a Giuseppe Conte, non sarò io a scegliere chi di voi due sarà il mio avversario». Elly, sdegnata, si è tirata indietro mentre Conte, vecchia faina, ha fatto buon viso a cattivo gioco: non duellerà con Meloni ma avrà pur sempre un intervistatore cortese e di lusso come Paolo del Debbio, stella di Mediaset. C’è solo un altro escluso di peso: Maurizio Landini; lui proprio non è stato invitato, «forse non volevano mettermi in imbarazzo» ha detto con tutto il fair play di cui è capace. Gli altri sindacalisti ci saranno, come tanti esponenti del Pd e dell’opposizione, a cominciare da Matteo Renzi. E poi ci sarà una grande rentrée, quella di Gianfranco Fini, pensionato ma pur sempre padre putativo di Giorgia Meloni dai rapporti altalenanti con la premier e il suo partito. Fini ricalcherà un glorioso copione d’annata: il duello con Francesco Rutelli, suo avversario nel 1993 nella gara per diventare sindaco di Roma. Vinse Rutelli all’epoca, ma Fini ci guadagnò la definitiva uscita degli ex missini dalla catacomba in cui l’arco costituzionale, come si diceva allora, li aveva sigillati. L’anno dopo Fini si riprese la rivincita e con Berlusconi e Bossi vinsero alle elezioni politiche che avrebbero portato al primo governo del Cavaliere.
Tutti i nomi della politica
Altro ritorno sulle scene, l’indimenticato Antonio di Pietro, arruolato come testimonial pro-riforma della Giustizia. Per i palati forti il ministro della Difesa Guido Crosetto se le darà di santa ragione con Marco Travaglio, punta di lancia del filoputinismo giornalistico. Naturalmente ci saranno tutti o quasi i ministri e tutti gli alleati del centrodestra. La stampa di area presente sul palco come una quadrata legione. La kermesse terminerà il 14 dicembre, ancora in tempo per riflettere sul decreto per i nuovi aiuti a Kiev che Salvini dice di non voler votare (ma che voterà) e soprattutto sull’utilizzo del Mes che Tajani propone di firmare – siamo gli unici a non averlo fatto – come garanzia per l’utilizzo degli asset finanziari di Putin congelati in Europa. Va da sé che Salvini si oppone (e forse a Giorgia non dispiace).
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