Biden-Meloni, cordialità fra alleati: il nodo Cina

MONDO. Sembra passata una vita dal settembre del 2022, quando il presidente Usa Joe Biden, parlando ai governatori democratici in vista delle elezioni di metà mandato, li esortava a non essere troppo ottimisti, portando a esempio negativo («Avete visto che cos’è successo in Italia?») la vittoria della coalizione di centrodestra. Ieri Giorgia Meloni, da quella coalizione portata alla carica di primo ministro, è stata accolta con grande cordialità nella Washington che conta, al Congresso prima e, soprattutto, alla Casa Bianca poi.

Nessuna sorpresa, la politica è così. E poi bisogna dare atto alla premier di aver molto lavorato, fin dall’arrivo a Palazzo Chigi, per disperdere certe diffidenze. L’appoggio all’Ucraina senza se e senza ma, il dichiarato scetticismo (eufemismo) sul progetto della Nuova Via della seta promosso da Xi Jinping e sul Memorandum d’intesa firmato nel 2019 dal Governo Conte, gli elogi alla rinnovata coesione dell’Occidente, al di là delle convinzioni politiche e personali, non potevano che blandire l’orecchio attento della diplomazia a stelle e strisce.

Il grande fratello americano, si sa, è esigente con gli alleati, anche con quelli come l’Italia che lo sono da lunghissima data, tanto che la Meloni ha potuto sottolineare che il rapporto privilegiato esiste e resiste in Italia a prescindere dal colore dei Governi. Lo Zio Sam, però, sa anche mostrare gratitudine. Ed è contando su questo che la Meloni ha provato a far scivolare sul tavolo di Biden, con un certo tatto, non richieste ma, chiamiamoli così, suggerimenti. Per esempio quello di dare tutti insieme un’occhiata più attenta all’Africa, dove molti Paesi si tengono fuori dalla disputa Russia-Occidente perché non credono in una vittoria russa e non si fidano delle pratiche occidentali.

Si dà anche il caso che la situazione dell’Africa, soprattutto quella subsahariana, sia decisiva per uno dei problemi che più toccano l’Italia, e di conseguenza l’Europa, ovvero i flussi migratori. Inoltre la nostra premier non avrà certo mancato di far notare a Biden che il Memorandum con Xi Jinping può certo essere stracciato (forse in autunno, se il viaggio a Pechino della Meloni sarà confermato), ma non senza prevedere una certa reazione cinese che potrebbe non essere piacevole, visto che nell’ultimo anno le nostre esportazioni verso Pechino sono triplicate.

Dando per scontata la fermezza pro-Ucraina, il tasto cinese è, con ogni probabilità, quello che più preme agli americani. Biden ha confermato i dazi imposti da Trump contro Pechino, ha incentivato la produzione nazionale in settori strategici (l’elettronica in primo luogo) e osserva con piacere il calo degli investimenti esteri in Cina e di quelli cinesi all’estero, oltre alla riduzione del numero delle aziende occidentali insediate in Cina.

Quindi di lì l’Italia dovrà passare per potersi dire in piena sintonia con l’alleato Usa. Arrivando a Washington la Meloni l’ha peraltro anticipato, parlando di un «mondo delle regole», cioè l’Occidente, contrapposto ai Paesi che non rispettano i diritti umani e civili né i parametri della corretta competizione internazionale. È la certificazione, peraltro, che gli uni e gli altri stanno edificando un muro che rischia di dividere non più «solo» Berlino e l’Europa ma l’intero pianeta. Giorgia Meloni, per conto dell’Italia, nel 2024 dovrà presiedere il G7, un consesso che vede eroso il proprio peso dalla crescita dei Brics (riuniti in agosto in Sudafrica) e di molti Paesi del G20. Difficile darle torto se, in un’Europa unita contro la Russia e per l’Ucraina ma divisa su quasi tutto il resto, cerca la sponda sicura della Casa Bianca.

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