Chiusure cinesi, bisogno d’Europa

MONDO. Siamo alla vigilia dell’entrata in vigore della stretta cinese sulle esportazioni di gallio e germanio, materie prime rare fondamentali per la produzione di microchip, destinati in particolare a settori come l’auto elettrica e le energie rinnovabili.

Le restrizioni entreranno in vigore il 1° agosto e prevedono, oltre a controlli più stringenti, una licenza di esportazione. Lo scopo dichiarato è «salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali» della Repubblica popolare cinese, ma è evidente lo scontro economico in atto con l’Occidente, Stati Uniti in primis.

La mossa di Pechino ha già portato reazioni. L’Unione europea e il Giappone hanno firmato a stretto giro di posta un memorandum per rafforzare la cooperazione sui semiconduttori con l’obiettivo di prevenire eventuali interruzioni nella catena degli approvvigionamenti, specie delle materie prime critiche.

Gallio e germanio, in realtà, non hanno numeri da capogiro. Secondo i dati riportati da una nota dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, infatti, il mercato globale del gallio nel 2022 ammontava a 39 milioni di dollari e quello del germanio a 290 milioni. Cifre tutto sommato modeste se si considera che stiamo parlando di scambi mondiali. Inoltre, la dipendenza dell’Europa dalla Cina per le forniture di questi elementi non è totalitaria o quasi, come accade invece per altri elementi come le terre rare o il magnesio: nel caso del gallio siamo al 71% e per il germanio «solo» al 45%.

Si tratta però di materie prime strategiche per le nuove tecnologie che affiancano il silicio. La chiusura della Cina è quindi un campanello d’allarme che non può passare inosservato e ci ricorda quanto ci sia bisogno d’Europa, soprattutto, ma non solo, per un Paese come il nostro. Il caso gallio-germanio rimette infatti sotto i riflettori la storica debolezza italiana nelle materie prime. A fine giugno, il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, è volato a Berlino per firmare con i colleghi francese, Bruno Le Maire, e tedesco, Robert Habeck, un accordo di collaborazione per perseguire obiettivi comuni su estrazione, lavorazione e riciclo. Di ritorno, Urso ha invocato la riapertura delle miniere anche in Italia. Secondo alcune stime, avremmo giacimenti di dieci delle 30 materie prime considerate critiche. Gallio e germanio non figurano nell’elenco. Ci sarebbero però, fra le altre, magnesio e cobalto.

Tuttavia, al di là degli apprezzabili buoni propositi, se mai si arriverà a una nuova stagione mineraria nel nostro Paese, tra il dire e il fare ci sarà in mezzo un mare discretamente ampio da attraversare almeno su tre fronti: il contesto normativo, a partire dall’aggiornamento della Carta mineraria italiana; la verifica della sostenibilità economica di eventuali attività estrattive da riavviare dopo decenni di dismissione o da aprire ex novo; e il recupero sul fronte delle competenze professionali che, come sottolineano gli addetti ai lavori, sono andate via via riducendosi insieme alla contrazione del settore minerario. Il governo si è messo al lavoro e benvengano le iniziative dei singoli Stati, in proprio o in alleanza come nel caso dell’intesa di cooperazione con Francia e Germania.

Resta però sullo sfondo l’imprescindibile contesto europeo, almeno per due ragioni. La prima è economica. Ciò che uno o pochi Paesi europei uniti sono in grado di investire sul fronte materie prime rischia sempre di essere una briciola rispetto a quanto la Cina da sola è in grado di mettere in campo, non solo in casa sua ma anche in Africa dove, non dimentichiamolo, il suo peso e la sua influenza sono tutt’altro che marginali.

La seconda ragione è politica. La forza contrattuale dell’Unione europea è, o si presume che sia, maggiore rispetto a quella dei singoli Stati. Pochi giorni prima che Pechino annunciasse la stretta su gallio e germanio, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, era in Sudamerica a stringere accordi e annunciare investimenti sul litio, altro elemento fondamentale per l’industria di un futuro che è già qui. Su questi temi l’Ue ha varato a marzo la proposta di regolamento European Critical Raw Materials Act per rafforzarsi nelle forniture di 34 materie prime critiche. C’è da augurarsi che si cammini spediti e che si resti sempre lontani da facili «innamoramenti» totalizzanti. Ridurre alcune dipendenze dalla Cina, in certi casi appunto totali al 100%, potrebbe essere più difficile rispetto a quanto fatto con le alternative al gas russo, ma forse non impossibile. Anche se gli scambi commerciali complessivi con Pechino pesano molto più di quelli con la Russia e, nel caso specifico italiano, resta l’incognita della Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta salutata ieri (marzo 2019, governo giallo-verde del Conte I) come grande promessa per il futuro (ma guarda caso evitata dagli altri Paesi europei e del G7) e oggi (governo Meloni) mina vagante da disinnescare.

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