Ci servono medici ma perdiamo gli studenti

ITALIA. In questi giorni natalizi, mentre le città si pavesano di luci e buoni propositi, migliaia di ragazzi si ritrovano al buio. Volevano fare i medici. Ma si sono visti sbattere la porta del loro futuro in faccia.

Non perché manchi loro la vocazione - quella, anzi, trabocca - ma perché qualcuno ha deciso che per diventare medici bisogna prima superare una gimkana di quiz che neanche Einstein, in un giorno di malumore, avrebbe risolto con leggerezza. Il nuovo test di Medicina, presentato come una rivoluzione, ha prodotto un risultato che parla da solo: non più del 15 per cento dei candidati ha superato il primo appello. Tradotto: un totale disastro.

Difficile credere che l’altro 85 per cento dei candidati fosse inadeguato a cominciare il percorso universitario. È praticamente impossibile statisticamente

In alcune materie, come Fisica, i promossi al «primo turno» oscillano tra il 9 e il 17 per cento. In Biologia e Chimica va appena meglio: sette ragazzi su dieci vengono bocciati. È un test selettivo? No, sembrerebbe un test punitivo. E, soprattutto, sembrerebbe inutile. Difficile credere che l’altro 85 per cento dei candidati fosse inadeguato a cominciare il percorso universitario. È praticamente impossibile statisticamente.

Perché qui non si tratta di scremare gli inadeguati. Si tratta di tarpare le ali a una generazione che ha scelto un mestiere faticoso, lungo, impegnativo, ma che - guardL’Italia soffre una carenza cronica di medici. Li cerchiamo all’estero, persino a Cuba, per portarli negli ospedali, ci rammarichiamo quando si laureano troppo tardi. E mentre li chiediamo a gran voce, contemporaneamente li respingiamo con un test che assomiglia più a un «Rischiatutto» che a una vera valutazione delle loro capacitàa un po’ - serve disperatamente al Paese. . Chi ha deciso che la vocazione alla scienza di Ippocrate debba essere misurata da tre prove in un giorno solo, con domande che talvolta sembrano non avere né capo né coda? Ci sono quesiti «a completamento» che persino chi li ha preparati definisce un’insensatezza. È così che vogliamo individuare i futuri medici italiani?

L’Italia soffre una carenza cronica di medici. Li cerchiamo all’estero, persino a Cuba, per portarli negli ospedali, ci rammarichiamo quando si laureano troppo tardi. E mentre li chiediamo a gran voce, contemporaneamente li respingiamo con un test che assomiglia più a un «Rischiatutto» che a una vera valutazione delle loro capacità

Il paradosso è che abbiamo aumentato i posti disponibili - quasi ventimila in totale - ma rischiamo di non riuscire a riempirli. E allora viene spontanea una domanda: se c’è fame di medici, ha ancora senso il numero chiuso, anche se «posticipato» rispetto al passato? Ha senso bloccare un ragazzo sul nascere, costringerlo ad aspettare un anno per riprovarci, lasciarlo in balia di una graduatoria che può spedirlo a mille chilometri da casa? Ha senso comprimere in pochi mesi quello che prima si studiava in un semestre intero e poi stupirsi se i ragazzi non reggono l’urto? Se c’è un filtro naturale, quello sono gli anni di Medicina, fatti di decine di esami, di tirocini, di notti passate sui libri e altre passate in reparto. È lì, dopo un percorso che può arrivare fino a 12 anni, che sembra più logico vedere chi è adatto e chi no. Difficile vederlo in un test che finisce con il premiare la rapidità, se non la furbizia, e non la profondità.

Il paradosso è che abbiamo aumentato i posti disponibili - quasi ventimila in totale - ma rischiamo di non riuscire a riempirli

In questi giorni molti studenti si consultano con gli avvocati, preparano ricorsi, chiedono che almeno venga valutato il voto migliore delle due prove. Il Paese, intanto, perde tempo e talenti. Dietro a ogni diciottenne scartato c’è una storia: una mamma che lo accompagna all’alba al test, un padre che si commuove all’idea di vederlo in camice, un sogno nato anni prima, magari dopo un tirocinio in Croce Rossa o una visita a un parente malato.

Serve buon senso

E allora, in questa antivigilia un po’ amara della seconda prova, una richiesta al buon senso, che non costa nulla ed è sempre meno raro di quel che si crede: se davvero abbiamo bisogno di medici, non costruiamo muri insormontabili all’ingresso. Facciamo studiare i ragazzi, mettiamoli alla prova lungo il percorso, non al primo metro. Perché non è un test a fare un medico. È la vita. E soprattutto il desiderio ostinato di curare quella degli altri.

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