Credibilità perduta, un problema per i partiti

Prepariamoci alle sorprese. L’imprevedibile e l’inosabile è stata la cifra della legislatura in scadenza. Ora anche della campagna elettorale. C’è da temere che imprevidibilità e spregiudicatezza dominino anche a urne aperte. Se c’era un tratto distintivo dell’Italia era la sua inossidabile stabilità politica. Cambiavano a spron battuto i governi (in media uno all’anno), ma nulla riusciva a scalfire il quadro politico: una Dc «condannata» a governare, un Pci condannato all’opposizione. Anche dopo il tracollo dei partiti e l’avvio, nel 1994, dell’esperimento di una democrazia dell’alternanza, le elezioni hanno registrato una sostanziale stabilità dell’orientamento politico degli italiani.

Tutto è cambiato, e a un ritmo frenetico, dal 2018. Partiti che nell’arco di soli quattro anni sono passati dal 4% al 23% (FdI), altri all’inverso precipitati dal 33% all’11% (M5S), altri ancora (la Lega) prima protagonisti di una scalata da brividi (dal 17% al 34%) poi di un rovinoso smottamento al 13%. Non sono stati solo i numeri a saltare in questa legislatura. Anche le alleanze sono finite sull’otto volante. I 5 Stelle, proprio loro alfieri di una lotta senza quartiere contro i partiti, si sono messi a braccetto con tutti (manca solo FdI). Il Pd, prima in trincea al fianco del M5S («O Conte o morte», «Conte punto di riferimento fortissimo dei progressisti»), subito dopo in prima linea a sostegno di Draghi. Il centrodestra, in campagna elettorale orgoglioso della sua granitica unità, alla prova dei fatti si è scomposto in più parti: FdI all’opposizione, Lega al governo, FI prima all’opposizione e poi al governo.

Il copione non è cambiato nemmeno ora che i partiti sono stati chiamati a presentare le loro credenziali agli elettori. Il patto di ferro stretto tra Pd e M5S si è rivelato di latta. Prima amici per la vita, oggi nemici per la pelle. Calenda prima si è messo con chi ha votato contro Draghi, è entrato in una coalizione con Verdi e Sinistra italiana, nemici giurati di Draghi e della sua «agenda», e dopo pochi giorni ne è uscito. Meloni, Salvini, Berlusconi, dopo una legislatura passata da divorziati si sono ri-sposati in vista delle urne. Pronti a divorziare di nuovo il giorno dopo? La coerenza in politica non è sempre una virtù. Spesso virtuoso è piuttosto il comportamento di chi sa adattarsi ai tempi e agli scenari che cambiano. C’è un limite però da non superare, oltre il quale si rompe il patto di lealtà con gli elettori. Sono sicuri i partiti di non averlo superato? L’astensionismo crescente lascerebbe intendere che gli italiani fatichino a seguire le evoluzioni dei partiti. Per di più, non è affatto detto che le sorprese siano finite. Il centrodestra ragiona come se il largo vantaggio di cui è accreditato oggi sia cosa acquisita. Non tiene conto del 40% di indecisi che potrebbero alterare il risultato. Il campo largo, costruito da Letta, si è ristretto in poco tempo.

C’è infine Renzi, l’unico orgoglioso della sua coerenza, saldo nel suo rifiuto a stringere accordi sia con la destra, giudicata inadatta a governare, sia con la sinistra, accusata di confondere il patto elettorale con una coalizione di governo. Sempre che riesca a superare la soglia del 3%, potrebbe dar vita al famoso, ma sempre sfuggente «terzo polo», freno ai populismi e agli estremismi. Non ci resta che allacciare la cintura di sicurezza. Ci aspetta la bufera d’autunno: guerra in Ucraina, venti di guerra in Oriente, erosione dei redditi per inflazione, prezzi proibitivi dell’energia, possibile lockdown del gas. C’è un’ultima sorpresa, questa sì da augurarsi: che i partiti ritrovino quel senso di responsabilità e di credibilità di cui ha dato prova Draghi.

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