Demografia e lavoro, questioni intrecciate

Attualità. In Italia siamo arrivati al punto in cui le pensioni erogate annualmente sono più numerose dei lavoratori autonomi e dipendenti sommati assieme: 22 milioni e 756mila assegni pensionistici rispetto a 22 milioni e 554mila addetti. Le due grandezze, certo, non sono perfettamente comparabili: «cedolini» da una parte (perché alcuni fra i 16 milioni di pensionati italiani ricevono più di un assegno) e «teste» dall’altra.

Eppure gli ordini di grandezza considerati impressionano e correttamente – osserva la Cgia di Mestre che ha recentemente elaborato una ricerca sull’argomento – sono dovuti a un’unica causa: il malessere demografico che attanaglia il Paese. Bergamo, a questo proposito, sembra a prima vista un’«isola felice». Nella nostra provincia, infatti, i lavoratori attivi sono nettamente superiori alle pensioni erogate, con un saldo positivo di 83mila unità. Siamo tra le province più «virtuose» con Brescia (+111mila), Roma (+275mila) e Milano (+299mila). La situazione è drammatica soprattutto al Sud del Paese, dove tra le 38 province considerate, soltanto due presentano un saldo positivo, Ragusa (+8mila) e Cagliari (+10mila).

Le ragioni di tale divario tra lavoratori e numero di pensioni, spiega la Cgia, vanno ricercate nella forte denatalità che, da almeno trent’anni, caratterizza il nostro Paese. Il calo demografico ha concorso infatti a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. Il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, ha confermato questa tendenza in una recente intervista televisiva commentando l’ultimo aggiornamento del bilancio demografico nazionale: tra il gennaio e l’ottobre 2022, in Italia ci sono stati 322.658 nati; un dato che, secondo Blangiardo, condurrà l’Italia a stabilire un nuovo record (negativo), scendendo – quando avremo i dati definitivi del 2022 - sotto la soglia dei 400.249 nati del 2021. Si pensi che soltanto dieci anni prima, nel 2011, i neonati in un anno erano stati 530.770.

Ancora una volta in modo corretto, la Cgia di Mestre ha osservato che un Paese che registra una popolazione sempre più anziana «potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici, in particolar modo a causa dell’aumento della spesa pensionistica, di quella farmaceutica e di quella legata alle attività di cura/assistenza della persona». Inoltre, «con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione più giovane, una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo».

Tuttavia, al di là degli effetti futuri, faremmo bene a non sottovalutare nemmeno l’impatto degli squilibri demografici che già percepiamo qui ed ora. Anche in questa «isola felice» che è la provincia orobica. Le statistiche, per quanto dettagliate, rischiano sempre di mettere in ombra divari economici e occupazionali fra territori di una stessa area. Se ne rende ben conto il sindacato. La Cisl locale ha fatto notare come le Valli della provincia siano già oggi in difficoltà dal punto di vista demografico e lavorativo, rispetto a una fascia pedemontana più attiva, anche grazie all’immigrazione, con lavoratori che più facilmente si trasferiscono lì dove sorgono i nuovi insediamenti produttivi. Una situazione che potrebbe complicarsi anno dopo anno. Nei primi 10 mesi del 2022, nella provincia di Bergamo ci sono stati 6.189 nati, il 3,5% in meno dei 6.412 dello stesso periodo del 2021. Una tendenza da invertire quanto prima, con politiche e azioni proattive delle autorità pubbliche, così come di associazioni di imprenditori, lavoratori e famiglie.

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