Due missioni in parallelo: Mediterraneo e Africa, nuove sponde per l’Italia

È la crisi energetica, ma non solo, a guidare le visite in parallelo di Mattarella in Mozambico e di Draghi in Turchia. In primo piano c’è l’esigenza di sganciarsi dalla dipendenza da Mosca, per mettere in sicurezza il prossimo inverno, nel caso Putin decidesse di tagliare l’export di gas naturale verso l’Europa. Un piano che già vede l’Algeria come partner principale dell’Italia. L’importanza del giovane Paese africano per noi è duplice.

Nel Nord del Mozambico, nella regione di Cabo Delgado, sono stati individuati enormi giacimenti off shore, fra i più ricchi di gas al mondo, con riserve stimate fino a 2.400 miliardi di metri cubi. In quest’area – dove da 5 anni è in corso un’offensiva dei gruppi islamisti con tremila morti e 800 mila sfollati – opera dal 2006 anche l’Eni con due concessioni, una che sta sfruttando da sola e l’altra con gli americani di ExxonMobil. Il progetto del gruppo italiano sembrerebbe al riparo dai rischi legati agli scontri armati. La storia recente del Mozambico, poi, ha un’impronta anche italiana, perché 30 anni fa venne firmato lo storico accordo che pose fine alla lunga guerra civile dopo due anni di negoziati attraverso la mediazione della Comunità di Sant’Egidio e con il contributo diretto del nostro governo. Interesse nazionale, dunque, insieme con accordi per lo sviluppo nel quadro dell’amicizia fra i due Paesi.

Scenario assai diverso quello della Turchia, una missione diplomatica ai massimi livelli (5 ministri compreso il titolare della Difesa), in quanto Ankara, per peso specifico e posizione geografica, detiene le chiavi del transito energetico da Est a Ovest. Erdogan, uomo forte e leader discusso, e a suo tempo criticato anche da Draghi, governa un’economia debolissima (inflazione al 73%) ma, con la guerra in Ucraina, è diventato uno dei personaggi chiave dello scacchiere internazionale dopo gli arretramenti occidentali in Siria, Libia, Afghanistan.

Al recente vertice Nato ha tolto il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia, in realtà è riuscito a piegare i partner a un compromesso a lui favorevole. La Turchia presidia il fianco Sud dell’Alleanza atlantica, dispone del secondo esercito Nato più forte, e con Erdogan insegue un disegno neo-ottomano ed espansionista all’insegna della Grande Turchia: nel tessere la trama di una sfera d’influenza amplissima, si muove in proprio, in bilico fra America e Russia. La Turchia ha fornito i droni all’Ucraina, decisivi nel respingere l’iniziale attacco russo su Kiev. Nel frattempo dialoga con Mosca, ospita i negoziati di pace e, in questa ricerca di uno spazio autonomo nello scontro fra America e Russia, s’è assunto un ruolo di garanzia per risolvere la guerra del grano: senza Ankara non sarà possibile riaprire il Mar Nero per lasciar passare i beni alimentari di Kiev bloccati da Putin. Da qui il netto profilo della Turchia, da misurare con attenzione, con la sua agenda geopolitica: il rubinetto e i filtri ai flussi dell’immigrazione, quale strategia per il Mediterraneo, la stabilizzazione della Libia, il Paese dei due governi, di nuovo nel caos per le proteste contro il carovita.

Una polveriera pronta a riesplodere, mentre la produzione di greggio è scesa da un milione e 200 mila barili al giorno a poco meno di 600 mila. In Cirenaica i pozzi sono fermi e lo stesso potrebbe avvenire in Tripolitania dove opera l’Eni. La questione coinvolge Italia e Turchia, che s’è insediata nell’area di Tripoli quale contrappeso alla presenza russa. Libia per noi significa sicurezza, specie ora che – come ha detto il ministro della Difesa Guerini – «nel Mediterraneo si riverberano gli echi dell’aggressione russa all’Ucraina».

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