Emergenza climatica, una priorità politica

A Napoli sono riuniti i ministri dell’ambiente dei Paesi del G20 – che è come dire l’80% delle emissioni carboniche riunite a congresso. Sono infatti gli Stati che con l’80% del loro prodotto interno lordo hanno portato il mondo ai limiti dell’emergenza climatica. È difficile ora convincere tutti che occorre fare un passo indietro. Vi sono nazioni come la Cina o l’India che hanno patito per secoli il sottosviluppo ed ora nel pieno del loro boom economico vengono chiamate a rinunce. E proprio da quei Paesi occidentali che per primi hanno avviato lo sviluppo moderno e ne hanno tratto più di tutti vantaggio.

La questione è quindi politica ancor prima che ambientale. Si tratta di convincere i popoli che il clima è importante, ma non al prezzo di dover rinunciare alle conquiste ottenute e alle speranze di migliorare il proprio benessere. Il ministro Cingolani ne è consapevole e l’obiettivo di ridurre il riscaldamento globale dell’1,5% in dieci anni va a scontrarsi con economie basate sul petrolio o sulle fonti fossili come per gli Emirati Arabi ed anche Cina e Russia. La rivoluzione energetica come tutte le rivoluzioni scuote equilibri definiti e ne crea altri. Da qui l’ angoscia degli Stati che oltre al rischio del riscaldamento globale temono quello del declassamento. Si tratta quindi di stemperare questi timori con aiuti consistenti, 100 miliardi, da parte dei Paesi ricchi verso quelle parti del mondo che prive di tecnologie adeguate sarebbero indotte ad inquinare di più. Questo è il primo punto.

Il secondo invece si gioca tra i Paesi industrializzati ovvero nella capacità di vincere la gara del rinnovamento con investimenti strategici che permettano alle aree geopolitiche tra loro concorrenti, il blocco occidentale, la Cina, la Russia , l’India una sufficiente autonomia. Questo spiega le frizioni fra cinesi, russi e americani continuate anche dopo la presidenza Trump. Il terzo punto riguarda i singoli Stati e la loro capacità all’interno delle aree geopolitiche di rispettiva appartenenza di non dipendere dai loro alleati. Per esempio nell’Unione Europea. Fino a che punto la Germania godrà dei vantaggi tecnologici acquisiti per assicurarsi una primazia nell’Ue? Questo è un punto di cui nessuno parla ma che è ben presente al governo italiano. Rivoluzione energetica per l’Italia vuol dire anche creare nuove tecnologie e soprattutto esprimere capacità di riconvertire. La motor valley emiliana è un fiore all’occhiello, ma se tarda il passaggio all’elettrico è perduta. Una filiera che ha un fatturato di 21 miliardi, con 16 mila imprese e 70 mila addetti nel raggio di cento chilometri. Per la centralità industriale del Paese sono distretti come questi che devono vincere la sfida se non vogliamo fare dell’Italia solo un museo a cielo aperto e il parco divertimenti d’Europa. La lotta al riscaldamento climatico apre quindi una nuova frontiera. E anche la lingua la registra. Il Petit Larousse 2020 lancia la parola del secolo: «ecocidio». Chi danneggia in modo intenzionale e continuato l’ambiente è passibile in Francia di una condanna penale sino a dieci anni di reclusione con risarcimenti massimi di 4,5 milioni di euro. Sul piano normativo la nuova legge fa da apripista e crea una nuova categoria di reato. L’ambiente va protetto dai soprusi così come già accade agli animali e alle persone. La «clarté» è il marchio di fabbrica della lingua francese dai tempi del Re Sole. Ma poi contano i fatti e se diamo ascolto a quanto riportato da una ricerca Bloomberg scopriamo che nel quinquennio 2015-2019 la Francia ha accresciuto le sovvenzioni alla produzione di combustibili fossili del 24%. Nello stesso periodo Paesi come l’ Italia che li hanno ridotti del 33%.

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