Escalation mercenaria, pessimi segnali

Ieri, sedicesimo giorno, abbiamo dovuto prendere atto che non sarà breve e sarà ancor più sanguinosa di quanto avevamo temuto. È stato il giorno dei cattivi segnali, delle nuvole che dopo tanto incombere hanno scaricato fulmini. Avevamo detto che le trattative, in Bielorussia come in Turchia, sembravano soprattutto stratagemmi per guadagnare tempo, e che il passare del tempo, che nelle cancellerie è un attrezzo diplomatico, sul campo di battaglia diventa uno sprone alla crudeltà. Infatti. I russi approfittano della schiacciante superiorità aerea per sistemarsi intorno a Kiev: piazzano le artiglierie e organizzano i convogli dei rifornimenti, segno che l’assalto alla capitale è in via di definizione, se non imminente. Non solo: le bombe cominciano a cadere anche sulle città e sugli aeroporti dell’Ovest dell’Ucraina, quelli relativamente sicuri fino a pochissimi giorni fa.

Ieri è stato anche il giorno di Vladimir Putin. Uscito dall’isolamento, il presidente russo ha incontrato il suo alleato bielorusso, Aleksandr Lukashenko, e ha detto tre cose purtroppo significative. La prima è che «anche l’Urss ha vissuto a lungo sotto le sanzioni, e comunque ha ottenuto persino dei buoni risultati». Il che vuol dire che, almeno per il momento, non c’è speranza di una marcia indietro, anche solo parziale, da parte del Cremlino. La seconda è l’annuncio che le forze armate russe si apprestano a passare alle milizie del Donbass le armi tolte al nemico ucraino. Difficile credere che saranno solo le armi conquistate e non anche armi nuove uscite dai capaci arsenali russi.

Più potenza di fuoco, quindi più morti e più distruzioni. La terza è la conferma di quanto si sentiva da giorni, e cioè che la Russia potrebbe far affluire in Ucraina anche migliaia (il ministro della Difesa Shoigu dice addirittura 16mila) di «volontari» o mercenari dalla Siria e dal Medio Oriente. Sono uomini che hanno combattuto per Bashar al-Assad a fianco dei russi ma anche ex miliziani anti-Assad in attesa di perdono giudiziario. Gente dura, che vive in un Paese ridotto in miseria da dieci anni di guerra. È un’operazione ripugnante ma anche qui siamo alle solite: l’Occidente, che sosteneva i jihadisti, ora li tratta da sanguinari mercenari; la Russia, che li bombarda da anni, ora li arruola contro i fratelli slavi dell’Ucraina. Gli Usa e l’Europa sembrano attoniti di fronte alla feroce determinazione di Putin e dei suoi. Si varano infinite sanzioni (sulla Russia ora ne pesa un numero molto maggiore di quelle su Iran e Cuba sommate), si aspetta il crollo dell’economia russa, si spera in qualche sommovimento intorno al Cremlino.

E si mandano armi agli ucraini, in ogni caso lasciati soli a fronteggiare l’invasione. La stampa occidentale si è messa in assetto di guerra, parteggia per l’aggredito contro l’aggressore. È comprensibile, forse anche giusto. Ma il quadro che ci viene descritto corrisponde alla realtà? Possibile che muoiano solo civili ucraini e soldati russi? Perché mandare le armi serve, purché ci sia ancora qualcuno capace di imbracciarle. Cosa sappiamo, realmente, dello stato in cui versano le forze armate ucraine? Quanti reparti, e dove, sono ancora in grado di resistere e combattere? In che cosa consiste, altro esempio, l’apparato difensivo organizzato per difendere Kiev? Sembra un paradosso, ma sappiamo di più della Russia che, rinnegata dall’Occidente, si è rinserrata su se stessa tra censura ed economia di guerra. Il ministero della Difesa ha dovuto fare una vergognosa marcia indietro, ammettendo che in prima linea c’erano i soldatini di leva, i coscritti che sanno a malapena maneggiare un fucile, e inventando che si era trattato di «uno sbaglio».

I militari hanno cercato così di salvare dalle maledizioni di migliaia di famiglie, sconvolte dalla preoccupazione o dal lutto, l’immagine di Vladimir Putin. Per l’8 marzo il Presidente aveva promesso alle donne russe che i loro figli non sarebbero stati impiegati in battaglia. E invece Tutto questo evoca nei russi ricordi agghiaccianti. Quelli della prima guerra di Cecenia (1994-1996), quando all’assalto di Grozny furono mandati appunto i prizyvniki, i ragazzi della leva, in una strage annunciata. E con i ricordi si ripresentano anche i sospetti di allora, e cioè che i coscritti siano mandati avanti dai soldati di professione e dai loro generali per saggiare le difese nemiche. Carne da cannone, insomma. Ma carne della terra russa.

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