Europeismo apparente, il peso del veto

ITALIA. La recente insistenza del presidente Mattarella sul «destino» europeo dell’Italia, la sua ribadita fiducia nel federalismo come soluzione di problemi ciascuno dei quali non affrontabile nella piccola dimensione nazionale, costringe a fare una riflessione, l’ennesima ma oggi più urgente che mai: capire dove si colloca l’Italia, Paese fondatore.

Mario Draghi ha ribadito in contemporanea l’urgenza di una riforma delle nostre istituzioni comunitarie, e ha introdotto un concetto, quello del «federalismo pragmatico», che realisticamente consenta di uscire da un immobilismo inaccettabile in un quadro planetario tanto in movimento.

Il ruolo della premier Meloni

Ma allora bisogna dire una parola di verità sulla posizione del governo italiano. In questi tre anni, Giorgia Meloni è stata apprezzata sul fronte internazionale per posizioni chiare in materia di Ucraina, di Nato e anche di politica europea. Ma non ha cambiato idea critica né sul federalismo a cui si ispira il presidente della Repubblica né sulle varianti possibili individuate dal rapporto Draghi. Meloni è ancora la stessa che vede l’Europa come relazione autonoma tra nazioni, insomma di un’Europa confederale, il cui interprete più illustre fu, ma ben più di mezzo secolo fa, il generale Charles De Gaulle.

Gli europeisti, in questi tre anni, si soni fatti bastare l’europeismo apparente del presidente del Consiglio. Poteva andar peggio, perché la segretaria di Fratelli d’Italia aveva detto cose pesantissime sull’Europa e sull’euro da abolire, posizioni del resto rubate, insieme ai voti, al suo vice Matteo Salvini. Anche da capo del Governo aveva commentato l’anniversario del Manifesto di Ventotene dicendo che quella non era l’Europa in cui si riconosceva. Se il realismo intelligente di chi è alla guida di un grande Paese europeo la porta a fare scelte accettabili ed apprezzate e a rovesciare totalmente la piattaforma elettorale con la quale ha vinto le elezioni del 2022, gli europeisti si accontentano, ma ci sono vere e proprie prove della verità che non possono sfidare per sempre. Una di queste, quella regina, è l’affermazione che la responsabile del Governo italiano si è fatta scappare a margine del recentissimo dibattito parlamentare, circa il fatto che l’Italia non voterà a favore del superamento del principio dell’unanimità nelle grandi scelte europee. Qui è tornata, intatta, la coerenza dell’unica oppositrice di Draghi nella fase di emergenza. Se non si vuole un ruolo protagonista dell’Europa, va benissimo il diritto di veto lasciato agli amici Orban e Fico, anche a sostegno di politiche filoputiniane, che concorrenti elettorali di Fratelli d’Italia come Lega e 5 Stelle, sostanzialmente appoggiano.

Quindi, abbiamo una Meloni di governo acrobatica ed abile nel sostenere-non sostenere Ursula von der Leyen, una leader tutta abbracci e baci con i colleghi europei in qualsiasi vertice, ma gli amici veri restano nel cuore. Con Orban ha fatto selfies adoranti sulla collina di Buda, incoronandolo sovranista capo. C’è insomma un punto da chiarire, smettendo di far finta di niente, almeno sul piano culturale e politico.

Quindi, abbiamo una Meloni di governo acrobatica ed abile nel sostenere-non sostenere Ursula von der Leyen, una leader tutta abbracci e baci con i colleghi europei in qualsiasi vertice, ma gli amici veri restano nel cuore

Il futuro è inquietante. Ovunque in Europa, a cominciare dai grandi Paesi come Francia, Germania, Spagna (per non parlare di Farage nel Regno Unito), crescono fermenti nazionalistici. Potenzialmente potrebbero cancellare l’Europa che conosciamo, ricominciando da capo verso l’ignoto. In Francia e Germania c’è spazio per le alleanze di Salvini ma in Spagna sono forti i ricordi delle apparizioni di Meloni ai peggiori congressi della destra europea, l’ultimo poche settimane fa. La disinvoltura revisionistica della leader di Fratelli d’Italia oggi va bene perché davvero tanti fanno finta di non vedere cosa c’è dietro, ma se verrà il giorno in cui non ci sarà più un presidente della Repubblica che parla di «destino» europeo, e Draghi si sarà stancato di fare il profeta inascoltato, dove si collocherà?

Forse, sarebbe il caso - anziché dilettarsi con polemiche inutili su cortigiane e affossatrici della democrazia - di porre questa questione dell’Europa in maniera centrale. Se non ora quando, con due guerre che ci riguardano, in cui sono state dette molte parole giuste, ma altri hanno fatto i protagonisti?

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