Fuoco di fila sulla manovra. Le opposizioni guardano a regionali e referendum

ITALIA. Venerdì 12 dicembre sciopero generale contro la manovra di bilancio.

Generale sì, ma in solitaria: a proclamarlo è la sola Cgil di Maurizio Landini essendosi dissociate la Cisl - ma questa non è da tempo una notizia - e soprattutto la Uil di Bombardieri che invece, almeno fino allo sciopero per Gaza escluso, aveva sempre accompagnato le iniziative di Landini. Qualcosa è successo, dal momento che mentre la Cgil scende in piazza contro una manovra «ingiusta, fatta per i ricchi, che incentiva le disuguaglianze e non finanzia lo sviluppo», la Cisl e la Uil vedono nel testo del governo le ombre ma anche le luci, come per esempio la detassazione degli aumenti contrattuali.

Il governo, per bocca di premier e vicepremier Salvini, dell’iniziativa sindacale si occupa soltanto per il fatto che ancora una volta coincide con un venerdì e ironizza sul weekend «lungo» («Ma i lavoratori lo pagano di tasca loro» è la replica) con una risposta che non tocca il merito della protesta. Compito che invece si assume il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che però si preoccupa soprattutto di replicare al fuoco di fila con cui i «tecnici» dell’amministrazione pubblica - Banca d’Italia, Corte dei Conti, Ufficio parlamentare del Bilancio, Istat - hanno variamente impallinato la manovra, chi per la riduzione dell’Irpef («privilegia i redditi più alti»), chi per la rottamazione delle cartelle («Riduce il gettito», «lo Stato finanzia i morosi»), chi per il contributo delle banche.

Giorgetti, la manovra e le azioni del governo

Giorgetti invita a guardare non solo questa manovra ma l’insieme delle azioni del governo dall’inizio della legislatura che, «nel rispetto delle nuove regole europee che obiettivamente riducono i margini di manovra, garantisce la stabilità finanziaria» dovendo «ogni anno collocare 400 miliardi del proprio debito pubblico». E in effetti proprio su questo punto il governo è elogiato dal Financial Times, un tempo tra i critici più severi della gestione italiana della finanza pubblica, e che invece oggi parla addirittura di «Italia modello in Europa», tanto da far «azzerare la sua cattiva reputazione».

Certo è difficile pensare che manovre così «leggere» come il modesto risparmio sull’Irpef possano granché influenzare l’elettorato ora alla prova dei test regionali in Veneto, Puglia e Campania. Ciò nondimeno i partiti della maggioranza hanno le loro bandiere da sventolare. La Lega ha strappato la nuova rottamazione delle cartelle esattoriali («Ma sarà l’ultima», assicura Giorgetti), Tajani ha rassicurato banche e assicurazioni contenendo il prelievo a loro carico, e Giorgia Meloni si può presentare come capo di un governo che ha poche risorse a disposizione a causa della maxi-spesa per il superbonus di Giuseppe Conte, forse il maggior oggetto polemico in questa materia della comunicazione meloniana.

In tutto ciò la sinistra non riesce a condizionare l’azione di governo e si aggrega alle iniziative della Cgil. La speranza sta soprattutto nelle regionali (puntano al 2 a 1) e sul referendum sulla giustizia che pure non dà certezze all’opposizione sulla reazione popolare alla denunciata «torsione autoritaria» del governo di destra. Per fortuna che a New York ha vinto il sindaco socialista: «La sinistra riparta da Mamdani» si sente dire nei talk show.

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