Gas russo, alleanze ed egemonia economica. L’imbarazzo tedesco

Ad Angela Merkel non sarebbe mai venuto in mente di porre un tetto al gas russo, come sta accadendo in questi giorni a Bruxelles alla sua concittadina Ursula von der Leyen. Nei sedici anni di governo dal 2005 al 2021 l’ex cittadina della DDR è stata guidata verso la Russia da un solo stato d’animo: la riconoscenza. Gli interessi economici delle multinazionali tedesche sono stati, è vero, la bussola dei suoi anni alla cancelleria.

La strategia politica nei confronti della Russia è condizionata dalle priorità dei grandi gruppi industriali,ma mai in contraddizione con i sentimenti di chi sa essere debitore del successo al dissolvimento dell’Unione Sovietica.

Lo dice lei stessa, l’ex neo laureata di fisica della Germania Orientale, quando esprime cordoglio per la scomparsa dell’ex segretario del Partito comunista sovietico Mikhail Gorbaciov: «Ha scritto la storia del mondo e ha cambiato la mia vita in modo fondamentale, non lo dimenticherò mai». L’Occidente e i partner dell’Unione Europea hanno sempre visto in questa predilezione tedesca per le relazioni a Est una sorta di ambiguità. Critiche che puntualmente sono riemerse in questi anni quando gli americani fecero sentire il loro dissenso sul primo gasdotto North Stream 1 e poi si impuntarono con successo contro la seconda conduttura sottomarina, North Stream 2, e ne ottennero la chiusura. Miliardi buttati al vento perché l’opera è stata completata e a Lubmin, il terminale nel Meclemburgo Pomerania anteriore, stavano già lavorando al suo allacciamento alla rete. Ma questa è la Germania: se ne conquisti il cuore ti seguono sino al suicidio. Nel nostro caso geostrategico. Intendiamoci, nell’operare di Berlino vi è una razionalità politica e soprattutto economica ben chiara. Il gas russo è il propellente a basso prezzo della rinascita dell’economia tedesca dopo la crisi fine anni Novanta e la caduta del governo di Helmut Kohl. Assieme alle riforme del mercato del lavoro, il metano siberiano è stato il combustibile con il quale la Germania ha creato il modello economico egemone in Europa. I suoi surplus nell’export vengono da qui. Non esclusa la sua arroganza nel pretendere l’egemonia in Europa. La strategia del dominio economico è succedanea all’impossibilità di poter aspirare a quella politica. Il nazismo è e rimane l’ipoteca che grava sulle ambizioni tedesche. Il rapporto speciale con la Russia legittima il ruolo di potenza economica senza carri armati. Anche il successore Olaf Scholz ha avuto bisogno del suo tempo per rendersi conto che con il conflitto ucraino il sogno era finito. I socialdemocratici sono grati e riconoscenti a Gorbaciov da quando chiese a Willy Brandt, prima della caduta del muro di Berlino, di riprendere assieme la strada della collaborazione tra socialisti e comunisti interrotta nel 1914. Non è un caso che la «pasionaria» del gasdotto North Stream 2 sia la socialdemocratica Manuela Schwesig.

Per non parlare di Gerhard Schröder che passò nello spazio di un sospiro dalla poltrona di cancelliere a quella di presidente di Nord Stream AG e poi della società petrolifera russa Rosneft. E questo in barba all’invasione e alla conquista della Crimea del 2014 quando apparve chiaro a tutti il volto bellicista di Vladimir Putin. Rompere con Mosca vuol dire per la Germania cambiare tutto. Dal riarmo della Bundeswehr che evoca lo spettro del militarismo sino alla riqualificazione della sua industria che dovrà puntare anche sul mercato interno e quindi europeo per recuperare le quote di esportazioni perse a livello globale. Il risultato di questo riposizionamento è una maggiore dipendenza dall’alleato americano e dai partner europei. La speranza di una condivisione russo-tedesca dell’egemonia in Europa è saltata. La morte di Gorbaciov è il suo epitaffio.

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