
(Foto di Ansa)
MONDO. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il 95% delle famiglie di Gaza affronta una grave carenza idrica, «con un accesso giornaliero ben al di sotto del minimo necessario per bere e per l’igiene».
Un rapporto dell’Onu rileva come nelle prime due settimane di luglio, su 56.440 bambini di diverse aree della Striscia, quasi 5mila soffrivano di malnutrizione acuta e 838 estrema. Finora i decessi per fame sono stati 86, fra i quali 76 minori (dati Unicef). Ma potrebbero moltiplicarsi nelle prossime settimane. Un corpo non alimentato perde forza progressivamente, il sistema immunitario s’indebolisce e le malattie si diffondono veloci fino a diventare epidemie. Il Cogat, l’organizzazione israeliana per il coordinamento delle attività governative nei Territori, ha annunciato l’ingresso di 70 camion di aiuti umanitari, avvenuto mercoledì scorso, a fronte di un bisogno di almeno 500 perché nella Gaza devastata non esistono più un’economia e un’agricoltura di sussistenza.
Il governo Netanyahu attribuisce la responsabilità della situazione ad Hamas e a bande armate che assaltano i tir, presi di mira anche dalla popolazione affamata a testimoniare la gravità della situazione. Peraltro sono bloccate anche le 500 tonnellate di aiuti del Patriarcato Latino di Gerusalemme che hanno una destinazione certa, la parrocchia cattolica della Sacra Famiglia a Gaza City. Se l’organizzazione islamista dopo 22 mesi di bombardamenti incessanti e decine di migliaia di morti, per la metà donne e bambini, è ancora in grado di condizionare pure la gestione del cibo, non è quindi vero, come sostiene lo stesso Netanyahu, che Hamas è prossima alla sconfitta: del resto l’ideologia che la muove si trasmette arruolando miliziani a sostituire quelli uccisi. E ormai dovrebbe essere chiaro che l’obiettivo del conflitto va oltre le resa degli islamisti e la liberazione degli ostaggi (20 dei 53 ancora nella Striscia sarebbero vivi). Non è un’opinione ma un’evidenza che si ricava da dichiarazioni della leadership israeliana. Un ministro dell’estrema destra ultra nazionalista, Amihai Ben-Eliyahu, ieri ha dichiarato che «il governo sta spingendo affinché Gaza venga cancellata, sarà tutta ebraica. Grazie a Dio, stiamo estirpando questo male spingendo la popolazione che si è istruita sul Mein Kampf».
E ormai dovrebbe essere chiaro che l’obiettivo del conflitto va oltre le resa degli islamisti e la liberazione degli ostaggi (20 dei 53 ancora nella Striscia sarebbero vivi). Non è un’opinione ma un’evidenza che si ricava da dichiarazioni della leadership israeliana
Negli scorsi mesi altri ministri della stessa area politica che tiene in scacco Netanyahu garantendogli il potere, hanno pronunciato giudizi molto gravi e inaccettabili, tanto più in un Paese definito l’unica democrazia del Medio Oriente. Bezalel Smotrich disse: «Nessuno ci lascerà causare la morte per fame di due milioni di civili, anche se potrebbe essere giustificato e morale, finché i nostri ostaggi non saranno restituiti». Mentre per Itamar Ben Gvir «i palestinesi meritano solo una pallottola in testa». Tom Segev è uno storico israeliano residente a Gerusalemme: i genitori fuggirono dalla Germania nazista nel 1935 e s’insediarono nella Palestina sotto Mandato britannico, il padre fu ucciso nella guerra del 1948. Recentemente ha dichiarato che «a Gaza stiamo assistendo a violenze e massacri gravissimi, come mai ne abbiamo visti, neppure durante il conflitto del ’48. Ed è indubbio che il governo estremista di Netanyahu sfrutti la sua popolarità nella battaglia contro i terroristi di Hamas per mettere in atto l’antico progetto di espulsione dei palestinesi e di annessione dei territori occupati nel 1967».
«Ed è indubbio che il governo estremista di Netanyahu sfrutti la sua popolarità nella battaglia contro i terroristi di Hamas per mettere in atto l’antico progetto di espulsione dei palestinesi e di annessione dei territori occupati nel 1967»«
Del resto Netanyahu a maggio ha detto che nella Striscia «stiamo distruggendo tutto, così non potranno mai più tornare». Martedì scorso invece la Knesset ha votato (71 voti a favore e 13 contrari) una mozione che chiede l’annessione della Cisgiordania: il via libera non ha conseguenze pratiche ma dice del clima politico e delle prospettive. Il 16 luglio scorso l’ufficio dell’Onu per gli affari umanitari ha diffuso un dossier affermando che «la maggioranza della popolazione (complessivamente 2,3 milioni di persone, ndr) è adesso concentrata nel 14% del territorio della Striscia. Cresce la strategia israeliana di spingere la popolazione verso sud. Dal 18 marzo i militari hanno diffuso 55 ordini di spostamento collettivo svuotando 300 km quadrati che corrispondono all’81% dell’enclave. Tra il 18 marzo e il 15 luglio sono state costrette ad abbandonare le loro tende ben 737mila persone». «Siamo ormai un popolo di zombie privati di tutto» hanno detto gazawi citati dalla stampa israeliana.
Conosciamo cosa è stato il progrom del 7 ottobre 2023 (1.200 vittime) e l’odio del quale gli ebrei sono destinatari. Ma non sarà l’espulsione dei palestinesi da Cisgiordania e Gaza a mettere fine al conflitto secolare, accendendo invece una nuova, grave miccia. I governi occidentali che oggi aprono gli occhi sull’immensa tragedia nella Striscia, dovrebbero passare all’azione insieme ad altri attori cercando di mettere fine alla violenza inaudita, per non rimpiangere in futuro l’immobilismo di oggi, come è già successo nella storia.
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